Le prime idee trasformiste, termine allora usato per indicare l'evoluzione, sono state avanzate intorno alla metà del Settecento grazie al rinnovamento culturale portato dall'Illuminismo, con una generale laicizzazione del pensiero, e alla nascita della moderna geologia. Anche le piante, gli animali e i fossili provenienti dalle esplorazioni di tutti i continenti, portavano nuovi elementi a favore della possibilità di trasformazione dei viventi.
Il principio dell'attualismo di Hutton, la teoria dell'uniformismo e del gradualismo di Lyell, la riscoperta del valore dei fossili, implicavano una lunga storia della Terra, molto più lunga di quanto scritto nella Bibbia, e quindi sufficiente per permettere i cambiamenti evolutivi. Il mondo, inoltre, non era più visto come statico e immutabile ma soggetto a lenti e continui cambiamenti. Poiché gli organismi sono in equilibrio con il loro ambiente e, poiché l'ambiente cambia, devono cambiare anch'essi altrimenti sono destinati a scomparire.
Pianta di cacao
De Maupertuis
L'idea della trasformazione da una specie all'altra appare nel naturalista e matematico francese Pierre-Louis Moreau de Maupertuis (1698 - 1759).
Nella sua opera Système de la nature (1751) ipotizza che le attuali specie viventi derivino dalla modificazione di una sola forma primordiale e tali variazioni, che si verificano durante le riproduzione, siano trasmesse ai discendenti producendo nuove specie: «Non al bianco e al nero si riducono le varietà del genere umano; se ne trovano mille altre: quelle che maggiormente colpiscono la nostra vista non costano alla natura più di quelle che notiamo appena. […] La natura contiene le basi di tutte queste varietà, ma sono il caso e l'arte che le mettono in azione. [...] Ora, per spiegare tutti questi fenomeni, la produzione delle varietà accidentali, la successione di queste varietà da una generazione all'altra e infine il consolidamento e la distruzione delle specie, ecco ciò che mi pare si dovrebbe supporre. […]
- Che il liquido seminale di ogni specie animale contiene una innumerevole moltitudine di parti idonee a formare con la loro unione animali della stessa specie;
- Che nel liquido seminale di ogni individuo le parti idonee a formare sembianze simile a quelle di questo individuo sono quelle che, di norma, sono in maggior numero e hanno maggiore affinità, benché ve ne siano altre caratteri diversi;
- Quanto alla materia di cui saranno costituite, nel seme di ciascun animale, parti simili a questo animale, sarebbe una congettura ben ardita, ma forse non completamente priva di verosimiglianza, pensare che ogni parte fornisca germi propri. L'esperienza potrebbe chiarire ciò se si provasse, per lungo tempo, a mutilare alcuni animali di generazione in generazione: forse si vedrebbero parti amputate decrescere a poco a poco; forse, infine, le si vedrebbe ridursi a zero. […]
Per volger in specie le razze che si perpetuano bisogna verosimilmente che tali generazioni siano ripetute più volte; bisogna che le parti idonee a produrre i tratti originari, meno numerose ad ogni generazione, si dileguino o restino in così esiguo numero che, perché si riproduca la specie originaria, sia necessario un nuovo caso fortuito.
Del resto, benché io supponga qui che le basi di tutte queste varietà si trovino nei liquidi seminali stessi, non escludo l'influenza che possono avere il clima e il cibo».
De Maupertuis ribadisce, dunque, il concetto di eredità dei caratteri acquisiti e anticipa anche quello di selezione naturale: «Se non vediamo formarsi fra noi queste nuove specie di bellezze, vediamo anche troppo spesso produzioni che per il medico appartengono tutte alla stessa categoria: guerci, zoppi, gottosi, tisici, razze che per consolidarsi purtroppo non hanno bisogno di un lungo seguito di generazioni. Ma la saggia natura, mediante il disgusto che ha ispirato verso questi difetti, non ha voluto che essi si perpetuassero: ogni padre, ogni madre fa del suo meglio per estinguerli ed è più sicuro che siano ereditate le bellezze; la corporatura e la gamba che noi ammiriamo sono opera di parecchie generazioni in cui ci si è dati sollecitudine di formarle».
Buffon
Il naturalista, biologo, cosmologo e filosofo francese Georges Louis Leclerc, conte de Buffon (1707 - 1788), contemporaneo di Linneo, scrisse un'enciclopedica Histoire naturelle générale et particuliére in 36 volumi sui vari aspetti della natura, proponendo una nuova stima dell'età della Terra, nuove forze per spiegare le modifiche della crosta terrestre come il calore e l'erosione, respingendo il catastrofismo e una nuova interpretazione dei fossili.
L'opera ebbe grande successo ma attirò anche numerose critiche, soprattutto riguardo all'età della Terra che egli fissava a 75000 anni, contro i tradizionali 6000. Egli fu costretto a ritrattare tale affermazione ma le altre, ritenute da condannare, non sono state tolte dalla sua opera.
Per quanto riguarda l'origine delle specie, il suo pensiero è ambiguo. All'inizio abbracciò la teoria fissista dell'immutabilità delle specie, così come sono state create da Dio ma, in seguito agli studi approfonditi sui quadrupedi, elaborò delle concezioni trasformiste, senza tuttavia approfondirle.
Leggiamo: «Da questo punto di vista, non soltanto l'asino e il cavallo, ma anche l'uomo, la scimmia, i quadrupedi e tutti gli animali potrebbero essere considerati componenti della stessa famiglia; ma si deve concludere che in questa famiglia, grande e numerosa, concepita e creata dal nulla solo da Dio, vi siano altre piccole famiglie progettate dalla Natura e prodotte dal tempo. [...] Se queste famiglie esistessero davvero, esse avrebbero potuto formarsi solo con la mescolanza, variazione successiva e degenerazione delle specie originarie; se si ammette una volta per tutte che vi siano famiglie nelle piante e negli animali, che l'asino esca dalla famiglia del cavallo e ne differisce solo per degenerazione, allo stesso modo si potrà dire che la scimmia è della stessa famiglia dell'uomo, che è un uomo degenerato, che l'uomo e la scimmia hanno origine comune come il cavallo e l'asino, che ogni famiglia animale e vegetale ha avuto una sola origine, e addirittura che tutti gli animali siano derivati da uno solo che, nella successione dei tempi ha prodotto, perfezionandosi e degenerando, tutte le razze degli animali. I naturalisti che stabiliscono con tanta leggerezza famiglie animali e vegetali non paiono avere sentito l'estensione di tali conseguenze, che ridurrebbero il prodotto immediato della creazione ad un numero piccolo a piacere di individui. Se fosse provata la possibilità di stabilire con ragione queste famiglie, se fosse acquisita cioè fra animali e vegetali l'esistenza non dico di molte, ma di una sola specie prodotta dalla degenerazione di un'altra, se fosse vero che l'asino è un cavallo degenerato, non vi sarebbero più limiti alla potenza della Natura, e non si avrebbe torto a supporre che essa da un solo essere abbia ricavato, col tempo, tutti gli altri esseri organizzati».
Ma subito sotto propone anche l'ipotesi contraria: «Ma no, è certo, dalla rivelazione, che tutti gli animali hanno partecipato ugualmente della grazia della creazione, che i due primi esseri di ogni specie sono stati formati dalla mano del Creatore, e si deve credere che essi allora fossero circa uguali ai loro discendenti odierni».
Buffon quindi propone la creazione divina di alcune specie, uomo compreso, mentre altre sarebbero opera della Natura mediante una degenerazione. Ad esempio, Dio crea il cavallo e la Natura produce l'asino per degenerazione del cavallo.
«La temperatura del clima, la qualità del cibo e i mali della schiavitù: ecco le tre cause del cambiamento, dell'alterazione e della degenerazione degli animali».
Egli accetta anche l'ereditarietà dei caratteri acquisiti e l'accumulo di modificazioni impercettibili, di de Maupertuis ma rifiuta la trasformazione da un'unica specie.
Erasmus Darwin
Erasmus Darwin (1731 - 1802), nonno di Charles Darwin, fu medico di successo, naturalista, inventore e poeta.
Nel celebre trattato Zoonomia (1794 - 1796) troviamo questo interessante passo: «Meditando così la gran somiglianza di struttura degli animali a sangue caldo, e al tempo stesso i grandi cambiamenti che subiscono e prima e dopo della nascita; e mettendo a calcolo in quanto scarsa porzione di tempo siano eseguiti molti di cosiffatti cambiamenti loro, sarebbe osare troppo immaginare che, nel lungo periodo di tempo da quando la terra ha cominciato la sua esistenza, forse milioni di secoli prima dell'inizio della storia dell'umanità, sarebbe osare troppo immaginare che tutti gli animali a sangue caldo siano cresciuti da un singolo filamento vivente, che la grande Causa Prima indusse alla vita, con la possibilità di acquisire nuove parti, migliorato da nuove propensioni, guidato da nuovi stimoli, sensazioni, volontà ed associazioni, e per cui capaci di continuare a migliorare per propria attività naturale, e di consegnare questi miglioramenti attraverso la riproduzione alla propria prole, ed al mondo, senza fine?».
Il pensiero è chiaro, anche se marginale nella sua opera: la Divinità crea un "filamento vivente"; nel lunghissimo tempo a disposizione (milioni di secoli e non 6000 anni!) si verificano dei cambiamenti, trasmessi successivamente alla prole, che portano al progredire della vita dai piccoli organismi viventi nel fango fino alla formazione delle diverse specie di animali attuali (Tempio della Natura - 1803, uscito postumo).
Tali cambiamenti sono indotti dagli stimoli ambientali, ma anche dall'immaginazione durante l'accoppiamento: «Dal primo loro embrione o rudimento sino al termine della vita, tutti gli animali vanno subendo perpetue trasformazioni, le quali sono in parte prodotte dai loro propri esercizi, in conseguenza dei loro desideri e delle loro avversioni, piaceri e dolori, irritazioni e associazioni; e molte di tali forme o inclinazioni così acquistate, sono trasmesse alla loro progenie» e, negli adulti, dipendono dai desideri relativi alla sessualità, all'alimentazione e alla sicurezza.
La teoria di Lamarck
Il naturalista francese Jean-Baptiste Pierre Antoine Monet, cavaliere di Lamarck (1744 - 1829), fu il primo a elaborare teoria sistematica dell'evoluzione, ipotizzando che tutte le specie, uomo compreso, derivassero da altre specie.
Lamarck si è formato presso i gesuiti e, alla morte del padre, intraprese la carriera militare, che interromperà per motivi di salute. Passò quindi agli studi medici, anche questi non conclusi, per dedicarsi, infine, alla storia naturale e in particolare alla botanica. La pubblicazione del testo Flore Francaise gli procurò un posto di assistente di botanica. Successivamente è nominato curatore e poi professore di "zoologia degl'insetti, dei vermi e degli animali microscopici" al Muséum d'Histoire Naturelle di Parigi, ma non trascura gli interessi di geologia, paleontologia, chimica, fisica, meteorologia e soprattutto malacologia.
Fino al 1800 Lamarck è un convinto fissista; non crede nella teoria della degenerazione delle specie da una forma primordiale, proposta da Buffon, né nella generazione spontanea: «Innanzitutto noi crediamo impossibile che una qualunque causa fisica abbia mai potuto dare origine a organismi; noi pensiamo, insomma, che i diversi tipi di materiali che esistono non abbiano mai potuto produrre, in nessuna circostanza immaginabile, un solo composto veramente dotato di vita». (Recherches sur les causes des principaux faits physiques - 1794). «Tutte le facoltà della materia, unite a tutte le circostanze possibili, e persino all'attività diffusa nell'universo, non possano in alcun modo produrre un essere che sia dotato di movimento organico, che sia capace di produrre un suo simile, che sia soggetto a morire» (Mémoires de Physique ed d'Historie naturelle - 1797).
Le prime idee trasformiste le troviamo nel Système des animaux sans vertèbres (1801), in cui riconosce che la Natura è responsabile della progressione degli esseri viventi, dal più semplice al complesso, e ammette una forma di generazione spontanea degli esseri più semplici: «quelli con cui forse la natura ha iniziato, quando, con l'aiuto di molto tempo e di circostanze favorevoli, ha prodotto tutti gli altri». Solo gli organismi più semplici, naturalmente, derivano dalla generazione spontanea e il fenomeno non è limitato soltanto alle origini ma è ricorrente quando le circostanze lo consentono: «Nella sua marcia la natura ha cominciato e ricomincia ogni giorno, col formare gli organismi più semplici, ed essa non forma direttamente altro che questi primi abbozzi, processo designato a sproposito con l'espressione Generazione spontanea».
Vi compare anche il concetto secondo cui il movimento dei fluidi, che pervadono la Natura, penetrando nella materia danno l'avvio al movimento vitale e negli organismi consentono di alterare la struttura del corpo.
Tali idee saranno precisate nelle Recherches sur l'organisation des corps vivans (1802), per essere compiutamente espresse nella Philosophie zoologique (1809) e nell'Histoire naturelle des animaux sans vertèbres (1815 - 1822).
Questo passaggio dal fissismo al trasformismo può essere dovuto a un rifiuto delle idee di Georges Cuvier sull'estinzione delle specie a causa di catastrofi naturali.
«I frammenti fossili [...] ci presentano i resti di una moltitudine di animali diversi esistiti in passato, tra i quali se ne trovano solo pochissimi di cui conosciamo attualmente degli analoghi viventi perfettamente simili. Da ciò possiamo concludere che [...] non esistono più in natura? Ci sono ancora così tante parti della superficie del globo in cui non siamo mai penetrati, tante altre che uomini capaci di osservare non hanno attraversato che di passaggio e tante altre ancora [...] Se ci sono specie davvero estinte, non può che essere, senza dubbio, tra i grandi animali che vivono nelle regioni aride del globo, dove l'uomo [...] ha potuto portare alla distruzione tutti gli individui di alcune specie che non ha voluto conservare o addomesticare. Da ciò deriva la possibilità che animali dei generi Palaeotherium, Anoplotherium, Megalonix, Megatherium, Mastodon di M. Cuvier e alcune altre specie di generi già noti, non esistano più in natura [...].
Tutto sulla superficie della terra cambia condizione, forma, natura e aspetto e lo stesso clima delle diverse regioni non è maggiormente costante. Ora, se, come proverò a dimostrare, variazioni nelle condizioni determinano negli esseri viventi, e specialmente negli animali, cambiamenti nei bisogni, nelle abitudini e nel modo di vita, e se questi cambiamenti danno luogo a modifiche o sviluppo negli organi e nella forma delle singole parti, si deve dedurre che impercettibilmente qualsiasi corpo vivente debba variare, specialmente nelle sue forme o caratteri esterni, sebbene questa variazione non diventi percepibile se non dopo un tempo considerevole. [...] I naturalisti che non hanno scorto i cambiamenti che nel tempo subiscono la maggior parte degli animali, vogliono spiegare i fatti relativi ai fossili osservati, [... supponendo] che fosse avvenuta una catastrofe universale rispetto al globo terrestre e che abbia sconvolto tutto e distrutto gran parte delle specie che esistevano allora. [...] Ma perché sostenere, senza prove, una catastrofe universale, quando il procedere della natura, meglio conosciuto, è sufficiente per rendere conto di tutti i fatti che osserviamo in ogni suo aspetto?» (Philosophie zoologique - 1809).
Questi sono i principi della sua teoria, o leggi generali della vita, formulati nell'Histoire naturelle des animaux sans vertèbres.
Prima legge: La vita, per le sue forze intrinseche, tende continuamente ad aumentare il volume di ogni essere che la possiede e ad accrescere le dimensioni delle parti di questo fino a un limite che essa stessa predetermina.
Seconda legge: La produzione di un nuovo organo in un corpo animale deriva dal presentarsi di un nuovo bisogno che si fa sentire costantemente e parimenti da un nuovo movimento organico che questo bisogno fa nascere e alimenta.
Terza legge: Lo sviluppo e l'efficienza degli organi sono costantemente proporzionali all'uso degli organi stessi.
Quarta legge: Tutto quello che è stato acquisito, delineato o modificato nell'organizzazione degli individui durante la loro vita viene conservato attraverso la riproduzione e trasmesso ai nuovi individui, nati da quelli che hanno subito i cambiamenti.
Esaminiamo in dettaglio questi principi.
Ogni corpo vivente non smette di crescere, dalla nascita fino al termine della sua vita, la cui durata è propria di ogni specie. In genere, tuttavia, esistono delle cause, delle alterazioni, che possono bloccare la crescita o portare anche alla morte. Si è notato che esiste una relazione tra la crescita e la durata della vita: più è lungo il periodo di crescita, più è lunga la durata della vita.
La vita è legata ai movimenti dei fluidi nel corpo, i quali sono anche responsabili dell'aumento delle dimensioni e dell'estensione delle diverse parti, cioè dell'aumento di complessità.
Nelle prime forme viventi, prodotte direttamente dalla Natura, le forze dei fluidi erano molto deboli e di conseguenza il loro corpo era un semplice tessuto cellulare, impercettibilmente modificato. Quando il movimento dei fluidi è diventato più veloce, e quindi il loro potere è proporzionalmente aumentato, si sono formati i primi organi, fino ad arrivare a un progresso nell'organizzazione degli animali, da semplici a sempre più perfetti.
In una Terra in continua mutazione, gli organismi viventi non possono rimanere immutati e perciò devono adattarsi ai cambiamenti ambientali: «grandi cambiamenti nelle circostanze portano gli animali a grandi cambiamenti dei propri bisogni, e simili cambiamenti nei bisogni ne portano necessariamente di corrispondenti nelle azioni. Ora, se i nuovi bisogni diventano costanti o almeno molto durevoli, gli animali prendono allora nuove abitudini, che sono tanto durevoli quanto i bisogni che le hanno fatte nascere» (Philosophie zoologique - 1809).
Negli organismi inferiori, come le piante e gli animali privi di sistema nervoso, l'adattamento avviene in modo meccanico, mentre negli animali superiori interviene un sentiment intérieur che dirige i fluidi nervosi verso quella parte del corpo che consente il soddisfacimento di tale bisogno. Pertanto si ha una modificazione dell'organo coinvolto o la comparsa di un organo nuovo, spingendo il vivente verso una maggiore complessità: «Il movimento organico non ha solo la proprietà di sviluppare l'organizzazione dei viventi, ma anche quella di moltiplicare gli organi e le funzioni da compiere […]. Esso tende a ridurre a funzioni specifiche di certe parti le cui funzioni erano prima generali, cioè comuni a tutte le parti del corpo […]. Il compito del movimento dei fluidi nelle parti molli dei corpi viventi che li contengono è di aprirvisi vie, depositi e uscite; di crearvi canali e, di conseguenza, vari organi; di differenziare questi canali e organi secondo la diversità dei movimenti o della natura dei fluidi che li producono; infine, di ingrandire, allungare, dividere e consolidare gradualmente questi canali e organi con il materiale che è costantemente prodotto e ceduto dai fluidi in movimento» (Recherches sur l'organisation des corps vivans - 1802).
L'adattamento non è una semplice reazione passiva agli stimoli ambientali ma un'azione attiva, anche se inconscia, pur precisando che le sentiment intérieur è un "sentimento fisico"; tuttavia rimarca che l'ambiente stimola ma non produce le modificazioni: «di qualsiasi genere possano essere le circostanze, esse non operano mai direttamente, sulla forma e l'organizzazione degli animali, alcuna qualsiasi modificazione» (Philosophie zoologique - 1809).
L'ambiente dunque fa nascere la necessità di una nuova funzione e l'esigenza di nuovi organi per svolgerla: «Non è la forma del corpo o delle sue parti che dà luogo alle abitudini, al modo di vivere degli animali ma, al contrario, sono le abitudini, il modo di vivere e tutte le circostanze influenti che, con il tempo, hanno prodotto la forma del corpo e delle parti degli animali. Con nuove forme, sono state acquisite nuove facoltà, e a poco a poco la Natura ha raggiunto la condizione in cui la troviamo adesso» (Système des animaux sans vertèbres - 1801).
I nuovi organi con l'uso (habitude), cioè con la ripetizione continua in un ambiente costante, si fortificano e perfezionano; gli organi, invece, di cui l'organismo non ha più bisogno e che non usa più, si atrofizzano o scompaiono: «Ebbene, da nuove circostanze che, divenute permanenti per una razza di animali, abbiano loro imposto nuove abitudini, che cioè li abbiano forzati all'abitudine di nuove azioni, risulterà l'uso prevalente di un organo piuttosto che di un altro, e in certi casi l'inizio della forzata inattività totale dell'organo che fosse divenuto ormai inutile [...] In ogni animale che non abbia raggiunto il termine del proprio sviluppo, l'impiego più frequente e sostenuto di un qualsiasi suo organo rafforza a poco a poco quell'organo, lo sviluppa, lo ingrandisce e gli conferisce un potere proporzionale alla durata del suo uso: mentre la mancanza costante di uso lo indebolisce insensibilmente, lo deteriora, diminuisce progressivamente le sue facoltà e finisce per farlo scomparire» (Philosophie zoologique - 1809).
Classico è l'esempio dell'evoluzione della giraffa (ma nei suoi scritti ne porta molti altri): secondo Lamarck, la giraffa moderna si è evoluta da antenati con il collo corto che dovettero allungare, insieme alle zampe e alla lingua, per raggiungere le foglie dei rami più alti. Lo sforzo giornaliero portava il collo e le zampe dell'animale ad allungarsi durante la vita dell'animale stesso. Questi antenati trasmisero il collo lungo, acquisito mediante l'allungamento, ai loro discendenti che, di generazione in generazione, hanno portato al lungo collo attuale.
Questo concetto lo estese anche all'uomo: «Se una specie qualsiasi di quadrumani (o meglio ancora la più perfezionata), necessitata dalle circostanze o da altre cause, perdesse l'abitudine di salire sugli alberi e di afferrare i rami con i piedi, oltre che con le mani, per sostenervisi, e se gli individui di quella specie fossero obbligati, per diverse generazioni, a servirsi dei loro piedi solo per camminare, cessando di usare le proprie mani come piedi, non c'è alcun dubbio, dato ciò che si è detto nel capitolo precedente, sul fatto che quei quadrumani si trasformerebbero da ultimo in bimani e che i pollici dei loro piedi cesserebbero di essere separati dalle dita, tali piedi non servendo più che a camminare.
Quando, inoltre, gli animali di cui parliamo mossi dal bisogno di dominare e di riuscire a vedere più lontano, si sforzassero di tenersi diritti e ne prendessero costantemente l'abitudine di generazione in generazione, non c'è dubbio neanche stavolta che i loro piedi assumerebbero a poco a poco una conformazione adatta a sostenerli in posizione eretta, che le loro gambe ne mutuerebbero solidi polpacci e che questi animali potrebbero allora camminare su piedi e mani insieme solo difficoltosamente» (Philosophie zoologique - 1809).
«Questa legge, a mio parere, è uno dei più potenti mezzi impiegati dalla natura per variare le specie» (Histoire naturelle des animaux sans vertèbres - 1815).
Le caratteristiche acquisite nel corso della vita sono trasmesse ai discendenti e, accumulandosi nel corso delle generazioni, portano alla comparsa di nuove specie meglio adattate all'ambiente: «Tutto ciò che la natura ha fatto acquisire o perdere agli individui attraverso l'influenza delle circostanze cui la propria razza si trova da lungo tempo esposta, e di conseguenza per effetto dell'uso predominante di quel tal organo, o per la mancanza costante di impiego di quel tal altro, essa lo conserva attraverso la riproduzione dei nuovi nati, purché i cambiamenti acquisiti siano comuni ai due sessi, o almeno a coloro che hanno generato i nuovi individui. [...] Infine, quel cambiamento si diffonde e passa così in tutti gli individui che si succedono e che sono sottoposti alle stesse circostanze, senza che siano stati obbligati ad acquisirlo proprio per la via che l'ha creato. [...] e questi animali si diffondono generalmente in tutte le regioni abitabili del globo» (Philosophie zoologique - 1809).
Questo principio dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti era largamente ritenuto cosa certa e provata, condiviso dagli scienziati e dalla gente comune e si mantenne fino ai primi del Novecento.
La generazione spontanea delle prime forme di vita, la trasformazione lenta e graduale verso forme più complesse e perfezionate, spinta dall'ambiente, che induce un bisogno di adattarsi, lo spostamento dei fluidi che modifica un organo o ne crea uno nuovo, l'uso o il non uso di un organo, che lo perfeziona o lo fa scomparire e la trasmissione delle nuove caratteristiche ai discendenti è in sintesi la teoria che ha portato fuori la biologia dal creazionismo. Si tratta di una teoria dell'evoluzione che invoca cause interne all'organismo (spinta interna naturale verso la perfezione) e cause esterne (adattamento all'ambiente), con lo scopo di dimostrare come una specie derivi da una specie precedente meno complessa, evidenziando le parentele tra i viventi ed è vista nella direzione verticale, cioè rivolta verso un progressivo perfezionamento, e temporale, legata al trascorrere del tempo, senza tuttavia considerare l'influenza della distribuzione geografica.
La teoria evolutiva di Lamarck ha parecchi punti deboli.
- Il progresso delle forme viventi verso la complessità e la perfezione riprende la scala naturae aristotelica e, anche se è diventata una scala mobile, mostra uno schema antropocentrico del progresso, uno scopo o una predisposizione insita nella Natura stessa. In realtà tale interpretazione è dovuta a una lettura superficiale e frettolosa dei suoi scritti poiché la sua teoria è stata concepita in termini materialistici e deterministici, in opposizione al Vitalismo, mostrando una discendenza comune di tutti i viventi attraverso forze di carattere puramente fisico e chimico, perciò le cause dei fenomeni vitali vanno cercate nella composizione chimica della materia: la scienza può essere solo scienza della causalità deterministica.
Il Vitalismo sostiene che esiste un principio vitale indimostrabile, presente ovunque, che è in grado di generare la vita degli organismi più semplici dalla materia inorganica. Ancora all'epoca di Lamarck si riteneva impossibile il comparire della vita dalle semplici reazioni chimiche e fisiche. I meccanicisti, al contrario, spiegano la realtà con gli atomi e il movimento, quindi, tutta la realtà si riduce a materia e non c'è spazio per ciò che è spirituale. I viventi si distinguono dai non viventi solo per la maggiore complessità e organizzazione. Se alcuni fenomeni vitali non sono ancora compresi, dipende solo dal fatto che l'indagine è ancora insufficiente. - Lamarck non ha saputo spiegare come effettivamente avvenissero le trasformazioni e come si trasferissero alla discendenza. Sappiamo, infatti, che se un individuo sviluppa la muscolatura andando regolarmente in palestra, tale caratteristica non si trasmette ai figli perché le variazioni si hanno nelle cellule somatiche e non nei gameti.
- Lamarck non era in grado di spiegare le modificazioni degli organi che non potevano essere prodotte da sforzi volontari, come il manto maculato delle giraffe.
- Nelle sue esposizioni non ha mai portato prove sperimentali poiché egli riteneva sufficiente la sola osservazione per dimostrare la validità della sua teoria.
- Nella sua epoca si riteneva ancora che la Terra avesse solo 6000 anni, un periodo troppo breve per spiegare il lento accumularsi di piccole variazioni in grado di trasformare le specie, anche se Lamarck accennava alla possibilità che i tempi potessero essere molto più lunghi di quanto indicato nella Bibbia.
- Ha rispolverato la teoria della generazione spontanea che già F. Redi aveva smentito.
- Per quanto riguarda l'origine della vita egli non si pronuncia. Poiché ritiene che tutti i minerali siano prodotti dagli organismi, concetto criticato dai geologi, non è in grado di spiegare la comparsa delle prime forme di vita dalla materia inorganica, che in teoria non dovrebbe essere presente, mancando gli organismi che la producono.
- Nei suoi testi i fossili hanno un ruolo marginale nel provare le sue tesi trasformiste, né espone in modo preciso la successione degli organismi nel tempo.
A Lamarck vanno sicuramente riconosciuti alcuni meriti.
Innanzitutto è stato il primo a proporre una teoria organica per spiegare la trasformazione dei viventi, basata sulle osservazioni raccolte, senza ricorrere a motivazioni antiscientifiche come il creazionismo.
Egli ha dato molta importanza al ruolo dell'ambiente e alla capacità di adattamento degli organismi come causa delle trasformazioni, consentendogli si superare la concezione statica di specie formulata da Linneo.
Lamarck ha elaborato una classificazione sistematica di tipo filogenetico in cui le specie venivano ordinate secondo logici rapporti di parentela e non in modo arbitrario.
Recentemente si è parlato di riscossa di Lamarck, quando si è scoperto che effettivamente è possibile, in alcuni casi, la trasmissione dei caratteri acquisiti. Diversi esperimenti sui topi e sulle piante hanno dimostrano che alcune caratteristiche acquisite dai genitori potevano passare ai figli.
Il fenotipo di un organismo non dipende solo dai geni ma su esso agisce anche l'ambiente attraverso fenomeni di epigenetica, come la metilazione del DNA e l'impacchettamento degli istoni, che alterano l'espressione genica. In questo caso non viene modificato il genoma ma varia l'organizzazione strutturale del cromosoma. Non è chiaro tuttavia come le modificazioni epigenetiche possano essere trasmesse alla prole.
Questa scoperta non diminuisce l'importanza della selezione naturale e degli altri fattori evolutivi: la trasmissione ereditaria è più potente di quella epigenetica.
I tempi non erano ancora maturi per accettare una teoria tanto rivoluzionaria quanto quella da lui proposta. I contemporanei di Lamarck non contestarono le sue idee sull'ereditarietà dei caratteri acquisiti, ma la vaghezza dei principi da lui proposti, il linguaggio spesso oscuro, contorto e prolisso, l'attaccamento ad una chimica-fisica seicentesca ormai superata, l'estensione della sua teoria anche all'uomo e per le tendenze materialistiche. Nelle Mémoires sur la matière du feu et la matière du son (1799) non parla più di principio vitale e la vita è definita «un movimento che risulta dallo svolgimento delle funzioni essenziali». Le cause dei fenomeni vitali vanno dunque cercate nella composizione chimica della materia vivente.
Tutti questi aspetti contribuirono al discredito e al disinteresse per la sua teoria in ambiente accademico.
Il geologo Charles Lyell, convinto creazionista, riteneva la teoria scientificamente infondata e, mentre credeva in una lenta e graduale trasformazione della Terra, non la riteneva possibile per gli organismi viventi, questo perché, se un organismo è perfettamente adattato al suo ambiente, un cambiamento ne provocherebbe l'estinzione, non avendo possibilità di mutare o di adattarsi.
Georges Cuvier attaccò incessantemente Lamarck nei suoi scritti in modo feroce e sarcastico, incolpandolo di «costruire dei vasti edifici su delle basi immaginarie», di riproporre la vecchia teoria della generazione spontanea, di negare l'estinzione, le catastrofi e la recente morfologia della Terra. Grazie al suo potere e al suo prestigio danneggiò la carriera di Lamarck.
Alle critiche di deve aggiungere anche il carattere orgoglioso di Lamarck, e la sua tendenza a non riconoscere i meriti altrui non fecero altro che allontanare i pochi amici, anche quelli più disposti ad accettare le sue tesi.
Trascorse gli ultimi anni solo, in miseria, quasi cieco, accudito soltanto dai sui figli.
Il neolamarckismo
Il lamarckismo ebbe un seguito nel "caso Lysenko" alla fine degli anni '40 (neolamarkismo). Trofim Denisovic Lysenko (1898 - 1976) sosteneva una teoria basata sull'adattamento diretto delle piante all'ambiente che applicò sul campo, portando a conseguenze disastrose l'agricoltura sovietica.
Grazie all'appoggio del partito comunista dell'URSS guidato da Stalin, ci fu un attacco su larga scala alla genetica e ai darwinisti, provocandone la persecuzione, l'arresto e in alcuni casi alla fucilazione.
Saint-Hilaire
Lo zoologo francese Étienne Geoffroy Saint-Hilaire (1772 - 1844), noto per la disputa con Georges Léopold Cuvier, è considerato, insieme a quest'ultimo, uno dei fondatori dell'anatomia comparata e uno dei precursori della teoria dell'evoluzione insieme a Buffon e Lamarck, ma di quest'ultimo rifiuta la teoria dell'uso e non uso.
Il suo metodo di lavoro, come scrive nell'opera Philosophie anatomique des organes respiratoires sous le rapport de la détermination et de l'identité de leurs pièces osseuses (1818), «consiste nell'intima connessione di quattro regole o principi, che ho definito sinteticamente nel modo seguente: teoria degli analoghi, principio delle connessioni, affinità elettive degli elementi organici e bilanciamento degli organi».
Secondo la teoria degli analoghi, la struttura degli animali si può ricondurre a un unico tipo, cioè esiste una unitarietà fondamentale degli esseri viventi, i quali si differenziano solo per alcuni dettagli: «la natura pare essersi racchiusa entro certi limiti e aver formato tutti gli esseri viventi su di un unico piano, essenzialmente lo stesso nel suo principio, ma che essa ha variato in mille modi nelle sue parti accessorie» (Mémoire sur les rapports naturels des Makis Lémur L. et description d'une espèce nouvelle de Mammifère - 1796).
Le specie viventi si sono differenziate da un unico piano di organizzazione e gli organi che presentano struttura e funzioni diverse, sono in realtà un adattamento di uno stesso organo alle diverse condizioni ambientali: «un organo, variando nella conformazione, passa spesso da una funzione ad un'altra». Precisiamo che quella che chiama analogia è oggi denominata omologia degli organi. Definiamo omologhi gli organi che hanno funzioni diverse ma la stessa origine embrionale (zampa del cavallo e pinna della balena) mentre sono analoghi quegli organi che hanno la stessa funzione ma origine diversa (ali della farfalla e del pipistrello).
«Ma cos'è l'unità di progetto, e soprattutto l'unità di composizione che dovrebbero ora formare la nuova base della zoologia? […] Non sono certo io a pensare che i naturalisti, anche i più volgari, adoperino queste parole, unità di composizione, unità di progetto nel loro senso comune, di identità. Nessuno sosterrebbe nemmeno per un minuto che il polpo e l'uomo abbiano un'unica composizione un unico progetto. Questo salta agli occhi. Unità dunque non significa per i naturalisti dei quali parliamo, identità: non è presa nella sua accezione naturale, ma gli si dà un significato traslato di somiglianza, analogia. Così, quando si dice che l'uomo e la balena hanno unità di composizione, non si vuole dire che la balena abbia tutte le parti dell'uomo. […] In una parola, se per unità di composizione si intende identità, si dice una cosa contraria alle più semplici testimonianze dei sensi; se si intende somiglianza, analogia, si dice una cosa vera entro certi limiti, ma vecchia come la stessa zoologia» (Principes de philosophie zoologique - 1830).
Alle somiglianze di Saint-Hilaire, Cuvier contrappone le differenze per adattamento, e da qui l'ipotesi di un'origine comune che giustifica l'unico pianto strutturale, mentre Cuvier, al contrario suddivideva gli organismi in piani di organizzazione diversi e quindi le specie erano entità separate.
Il principio delle connessioni corrisponde alla teoria della correlazione delle parti, di cui parleremo con Cuvier.
«Ho dato a questa regola un sostegno necessario, senza il quale, infatti, la teoria degli analoghi sarebbe apparsa soltanto come un'intuizione geniale, vale a dire il principio delle connessioni. [...] Io dunque fornii alle considerazioni intorno all'analogia una base che fino ad allora era mancata, quando proposi di far vertere le ricerche unicamente sulla dipendenza reciproca, necessaria e quindi invariabile delle parti. [...] Ora, è evidente che il solo ordine di generalità applicato alla specie è dato dalla posizione, dalle relazioni e dalle dipendenze delle parti, cioè da quelle che globalmente designo con il nome di connessioni. Così la parte della gamba detta mano nell'uomo (che è ciò che si intende generalmente con la parola piede negli animali) è la quarta parte del ramo di cui si compone l'arto anteriore, la parte terminale di questo fusto, la più lontana dal centro dell'individuo e la più suscettibile di variazioni, parte deputata in modo speciale alle comunicazioni dell'essere con tutto ciò che lo circonda, il tratto, infine, che viene dopo l'avambraccio. Allora sì che, fondandovi su una precisa nozione intorno a quest'organo, lo vedete dall'alto e nel suo significato generale e da lì potete discendere sia per seguirne le diverse metamorfosi sia per esaminarne i vari usi» (Philosophie anatomique - 1818).
«I materiali dell'organizzazione si riuniscono tra loro per formare un organo allo stesso modo in cui delle case si raggruppano per comporre una città. Ma se dividete questa città, come è stato fatto a Parigi, in diversi governi municipali, le abitazioni, o i nostri materiali organici, non risulteranno affatto distribuiti in modo arbitrario, ma sempre secondo posizioni necessarie. Questa necessità che costringe gli elementi che vengono a contatto ad accogliere gli effetti di una reciproca convenienza è ciò che io chiamo affinità elettiva degli elementi organici» (Philosophie anatomique - 1818).
L'ultimo principio del suo metodo è quello del bilanciamento degli organi, secondo cui in un organismo lo sviluppo di un organo comporta un decremento di funzionalità di un altro: «un organo normale o patologico non acquista mai una prosperità straordinaria senza che un altro appartenente al suo sistema, o in relazione con esso, non ne soffra nella stessa proporzione» (Philosophie anatomique - 1818).
I principi proposti da Saint-Hilaire sono ancora dei capisaldi dell'anatomia comparata come, ad esempio, le omologie.
Con i suoi esperimenti ha contribuito molto allo sviluppo dell'embriologia e della teratologia. Ha integrato e reinterpretato il principio di complessità crescente degli organismi, proposto da Lamarck, in chiave embriologica come passaggio da un abbozzo indifferenziato a un individuo differenziato ed è dall'analisi delle fasi embrionali che si può identificare le corrispondenze tra gli animali. Tali corrispondenze e affinità di parentela si possono estendere anche alle specie estinte, portando come prove la successione di specie distinte ma simili negli strati geologici e le varietà della stessa specie che si presentavano nelle diverse aree geografiche. Le differenze che si osservano con gli animali del passato sono dovute all'azione dei mutamenti ambientali, climatici e geologici sull'embrione, piuttosto che sull'organismo adulto, come invece affermava Lamarck: «L'azione del mondo circostante è l'unica causa dei cambiamenti sopravvenuti [...] è nell'embrione che bisogna cercare i passaggi da una specie a un'altra».
In alcuni casi, tuttavia, si è spinto troppo oltre con le sue intuizioni, senza averle prima attentamente vagliate criticamente e ciò lo pose sempre più in contrasto con Cuvier, come si evidenzia nei suoi scritti, che culminò con la famosa disputa, conclusasi nel 1830 in una seduta dell'Accademia delle scienze, con la sua sconfitta.
Le polemiche si svolsero sul piano personale, accusando Cuvier di pensare più alla carriera accademica e politica che alla ricerca scientifica, ma anche sul piano dei contenuti, soprattutto quando Saint-Hilaire postulò che i Vertebrati e gli Invertebrati possedessero un piano di organizzazione comune. Naturalmente Cuvier reagì violentemente a quelle che riteneva fantasie, sostenendo che strutture comuni potevano anche esistere tra le specie di uno o dell'altro gruppo, ma i due gruppi non potevano essere confrontati.
Il catastrofismo di Cuvier
Il biologo e naturalista francese Georges Léopold Chretien Frédéric Dagobert Cuvier (1769 - 1832) è considerato il padre dell'anatomia comparata e della paleontologia.
Nelle Leçons d'anatomie comparée (1800 - 1805) propose il principio di correlazione delle parti, già incontrato in Saint-Hilaire, in base al quale un organismo è costituito da parti strettamente correlate che consentono l'adattamento all'ambiente in cui vive. Questa affermazione contrasta con l'ipotesi di Étienne Geoffroy Saint-Hilaire che, invece, riteneva che la struttura anatomica fosse precedente e l'animale era costretto a vivere in base alla struttura dell'organo di cui era dotato.
Grazie a questo principio e in base alle omologie tra le parti di organismi diversi, era in grado di prevedere o ricostruire l'intero animale a partire da poche ossa di animali fossili: «attualmente, l'anatomia comparata ha raggiunto un tale grado di perfezione che, anche esaminando un singolo osso uno può arrivare a determinare la Classe di appartenenza e in certi casi anche il Genere a cui l'animale apparteneva, soprattutto se l'osso faceva parte della testa o degli arti [...] Questo perché il numero, la direzione e la forma delle ossa che compongono ciascuna parte del corpo dell'animale sono sempre in relazione rispetto a tutte le altre parti, in modo tale che uno a partire da una parte può risalire a tutte le altre e vice versa» (Recherches sur les ossements fossiles de quadrupèdes, 1812). Ciò gli consentì di classificare specie di Vertebrati oggi estinti come il Mastodonte americano, il Paleoterio, l'Alce irlandese e molti altri.
Per spiegare l'estinzione di queste specie, Cuvier propose, nell'opera Discours sur les révolutions de la surface du globe (1825), la teoria delle catastrofi.
La Terra è stata più volte sconvolta da una serie di violenti, l'ultima delle quali è il diluvio biblico, in cui morirono le specie presenti (o si trasferirono in zone sconosciute) per essere sostituite da altre provenienti da aree limitrofe. Nessuna nuova specie, tuttavia, era stata prodotta mediante il susseguirsi di trasformazioni di specie preesistenti: l'ambiente può indurre cambiamenti ma solo entro certi limiti, non tali da giustificare la formazione di nuove specie dalle precedenti. Infatti, secondo il principio di correlazione, organismi con caratteristiche intermedie non sarebbero potuti sopravvivere: una giraffa con il collo e le zampe troppo lunghe per brucare l'erba ma ancora corte per raggiungere le foglie dei rami, sarebbe morta di fame. Un individuo non sopravvive se non ha organi perfettamente funzionanti e coordinati.
«Perché le razze attuali, mi si dirà, non sarebbero delle modificazioni di quelle razze antiche che si trovano fra i fossili, modificazioni che sarebbero state prodotte dalle circostanze locali e dal cambiamento di clima e portate a una tale estrema differenza dalla lunga successione degli anni?
Questa obiezione deve parere forte soprattutto a coloro che credono all'infinita possibilità di alterazione delle forme nei corpi organizzati, e che pensano che coi secoli e le abitudini, tutte le specie potrebbero mutare le une nelle altre, o derivare da una sola fra di esse.
Tuttavia si può rispondere, nel loro stesso sistema, che se le specie son cambiate gradualmente, si dovrebbero trovare tracce di tali modificazioni graduali; che fra il paleoterio e le specie attuali si dovrebbero scoprire delle forme intermedie, e che finora ciò non è successo.
Perché le viscere della terra non hanno conservato i monumenti di una genealogia così curiosa, se non perché le specie di un tempo erano costanti quanto le nostre, o quanto meno perché la catastrofe che le ha distrutte non ha lasciato loro il tempo di variare? […]
Del resto quando sostengo che i banchi rocciosi contengono le ossa di più generi, e gli strati mobili quelli di numerose specie che oggi non esistono più, non pretendo che ci sia voluta una nuova creazione per produrre le specie attuali, dico solo che non esistevano negli stessi luoghi, e che debbono esservi giunte da altre parti» (Recherches sur les ossements fossiles des quadrupèdes - 1812).
Tutti gli organismi possono essere raggruppati in 4 piani di organizzazione: Vertebrati, Molluschi, Articolati, Radiati, corrispondenti all'attuale concetto di Tipo, non riconducibili a qualche forma di trasformazione perché assai diversi tra loro e le omologie non sono ritenute una prova di antenati comuni. Proprio le caratteristiche che distinguono i 4 gruppi egli ritiene rappresentino una prova che le specie non sono mai cambiate. Tale posizione si è dimostrata utile a Darwin poiché, se le attuali specie non possono derivare direttamente le une dalle altre, possono tuttavia avere un antenato in comune.
Le trasformazioni, inoltre, richiedono tempi lunghissimi mentre egli ritiene che la Terra abbia una storia breve: «Se vi è qualcosa di assodato in geologia è che la superficie del nostro globo è stata vittima di una grande ed improvvisa rivoluzione la cui data non risale a più di cinque o seimila anni fa; questa rivoluzione ha sprofondato e fatto scomparire i paesi già abitati dagli uomini e dalle specie animali oggi meglio conosciute» (Discours sur les révolutions de la surface du globe - 1825).
Anche gli animali imbalsamati trovati nelle tombe egizie o riprodotti negli affreschi, che hanno «non meno di tremila anni», non differiscono da quelli attuali.
I fossili, poi, mostrano l'assenza di forme graduali tra una specie e l'altra. Le nuove specie presenti in una formazione geologica non hanno nessun legame con quelle che le hanno precedute.
Se, infine, osserviamo le forme particolari prodotte negli allevamenti, notiamo che tendono a ritornare alla forma originaria se sono reintrodotti nel loro ambiente naturale.
Nella successione degli strati geologici Cuvier, dotato di ampie competenze di paleontologia e anatomia comparata, aveva notato la presenza di organismi semplici negli strati inferiori e via via più complessi in quelli più recenti. Stupisce il fatto che le sue osservazioni non lo abbiano portato ad una visione evolutiva della specie. Al contrario, egli ritiene che la geologia e i fossili dimostrino l'infondatezza delle teorie trasformiste di Buffon, Saint-Hilaire e Lamarck, al quale rimprovera «di aver laboriosamente costruito dei grandi edifici su basi immaginarie, di aver imbastito un sistema che, se può fare la gioia dell'immaginazione di un poeta, non sarebbe in grado di reggere per un solo istante all'esame di chi abbia sezionato una mano, dei visceri, o anche soltanto una piuma».
Con E. Geoffroy Saint-Hilaire, che in una memoria del 1825 mostrava l'evidenza dell'evoluzione dei coccodrilli, come accennato in precedenza, sostenne una lunga disputa, conclusasi nel 1830 con un'effimera vittoria, dato il prestigio che egli godeva.
Le somiglianze tra gli organismi appartenenti alle diverse specie sarebbero unicamente dovute all'uniformità dello schema creativo originario.
Lungo tutta la storia della Terra si sono succedute diverse epoche geologiche, ciascuna caratterizzata da proprie specie di organismi, ma il passaggio da un periodo all'altro è dovuto a eventi catastrofici e non ai graduali processi naturali operanti sulla Terra attuale. Gli agenti atmosferici possono modificare le montagne già esistenti ma non crearne di nuove e i vulcani possono alterare solo le zone circostanti: «Il filo delle operazioni si è spezzato; il corso della natura è mutato e nessuno degli agenti di cui la natura si serve oggi sarebbe bastato alla produzione delle sue opere di un tempo […]. Invano si cercherebbero tra le forze attualmente in azione sulla superficie della terra cause sufficienti a produrre le rivoluzioni e le catastrofi di cui la superficie terrestre rivela le tracce» (Discours sur les révolutions de la surface du globe - 1825).
Il suo catastrofismo si oppone quindi all'attualismo che ormai andava sempre più diffondendosi.
Cuvier non è un trasformista, ma non è nemmeno un creazionista (tranne che la prima creazione all'origine) perché nega nuove creazioni dopo ogni catastrofe: la sua è una visione fissista. Altri studiosi, però, adattarono la sua teoria in chiave creazionista.
Alcide d'Orbigny (1802 - 1857), ad esempio, sosteneva che, dopo ogni catastrofe - e ne ha contate 27 - c'era un nuovo atto creativo in cui venivano apportate lievi modifiche, perfezionando il modello originale.
Il biologo e antievoluzionista americano di origine svizzera Louis Agassiz (1807 - 1873),sosteneva addirittura che ci fossero state 50 - 80 estinzioni, seguite da altrettante creazioni.
La teoria delle catastrofi non si è dimostrata adeguata per giustificare la varietà dei viventi e la diversità degli organismi rispetto al passato perché presentava punti critici.
- Se le specie si spostano da zona all'altra per rimpiazzare quelle scomparse a causa di una catastrofe, come mai non si trovano resti di tali organismi nella zona di provenienza? Ad esempio, il Mastodonte si trova solo in certi strati delle rocce nordamericane di un ben preciso periodo geologico: se ha sostituito la fauna precedente, perché non si trovano resti nelle aree limitrofe, da cui proverrebbe, in strati antecedenti?
- Se non c'è evoluzione e non ci sono creazioni successive, si presuppone la presenza di tutte le specie presenti e future fin dall'origine della Terra. Questo è in contrasto con il principio del progressionismo, in cui egli stesso credeva, secondo cui «Gli esseri più semplici hanno preceduto i più complessi, e la natura ha creato in successione esseri via via più perfetti» (Brongniart - 1828).
- Dovrebbero esistere sulla Terra vaste aree ancora inesplorate, dove si trovano le specie non ancora viste, che dovrebbero rimpiazzare quelle che eventualmente scompariranno in una futura catastrofe.
Cuvier ebbe comunque il merito di sostenere l'importanza dell'estinzione delle specie, che invece Lamarck, come già aveva affermato Linneo, non accettò mai.
Ci sono stati effettivamente episodi catastrofici che hanno portato a cinque grandi estinzioni di massa, che hanno avuto un importante ruolo nel cambiamento della flora e della fauna ma, contrariamente a quanto afferma Cuvier, non sono l'unica causa delle trasformazioni.