In Africa, tra 5 e 3 milioni di anni fa, il clima continua ad inaridirsi a est della Rift Valley, di conseguenza le foreste si ritirano lungo i fiumi o in zone montuose; alcuni laghi si prosciugano e la savana si espande dall'Etiopia al Sud Africa.
In questo nuovo ambiente evolve un nuovo genere di Primati: Australopithecus. Il termine deriva dal latino australis (meridionale, del Sud) e dal greco πίθηκος (scimmia) e quindi: "scimmia del Sud".
Si tratta di Ominini che porteranno alla linea evolutiva umana, comparsi circa 4,2 milioni di anni fa (tardo Pliocene) in Africa, che si sono estinti poco meno di 2 milioni di anni fa (primo Pleistocene) a causa della modificazione degli habitat in conseguenza del cambiamento climatico globale che andava verso un generale raffreddamento e forse anche per la competizione con l'emergente genere Homo.
Attualmente sono state identificate le seguenti specie:
- Australopithecus anamensis
- Australopithecus afarensis
- Australopithecus deyiremeda
- Australopithecus bahrelghazali
- Australopithecus africanus
- Australopithecus garhi
- Australopithecus sediba
Alcuni autori inseriscono in questo genere anche le specie Homo rudolfensis, Homo habilis e Kenyanthropus.
Altra distinzione riguarda l'aspetto. Le specie elencate sopra si definiscono forme "gracili" mentre le forme "robuste" si preferisce inserirle nel genere separato Paranthropus, che vedremo nella prossima pagina. La differenza morfologica deriva dalla nicchia ecologica occupata: Paranthropus è adattato a una dieta fatta di tuberi e radici dure, sviluppando denti più grandi e poderose mascelle; Australopithecus invece è onnivoro, come dimostrano i denti più piccoli, e si nutre occasionalmente anche di carne.
Australopithecus è esclusivamente africano e lo troviamo nell'area orientale (anamensis, afarensis, garhi), centrale (bahrelghazali) e meridionale (africanus, sediba).
Gli Australopitechi sono costituiti da un mosaico di caratteristiche morfologiche umane e delle scimmie antropomorfe.
Sono bipedi, come dimostra la serie di impronte fossili di 3,6 milioni di anni fa, ma conservano residue capacità di arrampicarsi sugli alberi per sfuggire ai predatori e ripararsi durante la notte. L'alluce è leggermente divaricato, ma ha perso l'opponibilità.
Le dimensioni corporee sono relativamente piccole, circa 120 - 140 cm, con elevato dimorfismo sessuale e il corpo è molto probabilmente ancora ricoperto di peli.
Il cranio presenta un notevole prognatismo sotto-nasale e il volume endocranico mediamente misura 466 cc, non molto superiore a quello dello scimpanzé.
Le mandibole sono robuste, con 32 denti disposti parallelamente come nelle antropomorfe. I molari sono appiattiti con uno spesso strato di smalto; i canini sono piccoli come negli umani, con un ridotto diastema. Gli incisivi sono grandi, adatti a strappare la carne, anche se la dieta è prevalentemente vegetariana.
Gli arti anteriori sono ancora lunghi, analoghi a quelli posteriori.
Da uno di questi rappresentati deriverà il genere Homo.
Qui sotto uno dei possibili schemi evolutivi delle Australopitecine. Altri dettagli all'interno della descrizione delle singole specie.
Australopithecus anamensis
A Kanapoi, nel nord del Kenya, a est del Lago Turkana, ad Allia Bay e a Middle Awash dal 1965 al 2019 sono stati scoperti resti di almeno una ventina di individui del più antico rappresentante del genere Australopithecus, a cui è stato dato il nome di Australopithecus anamensis, dove "anam" significa "lago" nel linguaggio del Turkana. Le località sono a poca distanza dalle aree in cui sono stati trovati i fossili di Ardipithecus e A. afarensis.
I fossili comprendono ossa del cranio, denti, mandibola, clavicola, omero, femore e ossa della mano e del piede.
La datazione radiometrica effettuata sulle ceneri vulcaniche plioceniche circostanti e sulla base delle associazioni faunistiche, indica un periodo compreso tra 4,2 e 3,9 milioni di anni. Il cranio di un maschio adulto trovato nel 2019 è più recente: 3,8 milioni di anni.
Ambiente e modo di vita
A. anamensis viveva lungo corsi fluviali o laghi fiancheggiati da boschi chiusi, aree arbustive, praterie aperte adiacenti alla savana.
Sugli alberi andava a ripararsi e si procurava il cibo, costituito da frutta, foglie, germogli, mentre a terra raccoglieva alimenti più duri, come dimostra il maggiore spessore dello smalto dentale rispetto allo scimpanzé.
Caratteristiche
A. anamensis possiede un insieme di caratteristiche primitive e avanzate: alcuni caratteri originali, altri condivisi con gli scimpanzé, altri ancora con gli Australopitechi più arcaici e anche con i predecessori Ardipithecus e Sahelanthropus.
Rispetto al successivo A. afarensis aveva una corporatura più massiccia, soprattutto i maschi, che dovevano essere almeno il doppio delle femmine. I maschi erano alti 150 cm, con un peso fra i 55 e i 68 kg, mentre le femmine erano alte poco più di un metro e pesavano circa 27 kg.
La scatola cranica è lunga e stretta, con un volume endocranico stimato di 365 - 370 cc; la faccia è prognata, ma gli zigomi sono sporgenti.
L'apparato masticatorio lo avvicina allo scimpanzé, con la mandibola avente i rami paralleli, e i canini ancora grandi, più di quelli di A. afarensis e A. ramidus. I molari hanno lo smalto spesso, come gli Ominini successivi.
Le lunghe braccia, il radio robusto e la mano potente provano che si arrampicava sugli alberi.
La tibia assomiglia a quella di A. afarensis e suggerisce un'andatura bipede regolare, ma non perfetta.
(Crediti:
Ghedoghedo
- CC BY-SA 4.0)
Implicazioni evolutive
Le aree di ritrovamento, la finestra temporale e le caratteristiche anatomiche fanno pensare che Ardipithecus sia l'antenato di A. anamensis e da questo poi sarebbe derivato A. afarensis. Il ritrovamento del cranio datato 3,8 milioni di anni mostra, invece, che c'è una sovrapposizione di 100.000 anni con A. afarensis e quindi quest'ultimo si è diffuso prima della scomparsa di A. anamensis. Ciò non esclude che sia un suo discendente, ma non c'è stato un cambiamento filetico. Forse per un fenomeno di speciazione allopatrica si è trovata isolata una parte della popolazione di A. anamensis, che successivamente ha preso il sopravvento sull'altra, dopo eventi di pressione selettiva.
Australopithecus afarensis
Australopithecus afarensis è un Ominino, il nome deriva dalla regione di Afar, in Etiopia nord-orientale. È famoso soprattutto per il ritrovamento avvenuto nel 1974 di Lucy, uno scheletro completo al 40% di una femmina alta 1,10 m, un peso di 25 kg e un'età di 25 anni circa, datata 3,2 milioni di anni. Il soprannome deriva dalla canzone dei Beatles "Lucy in the Sky with Diamonds" che gli scopritori ascoltavano dal mangiacassette la sera dopo la scoperta.
Altrettanto singolare è il ritrovamento nel 2000, a 4 km da Lucy, di Selam, che i media hanno chiamata "figlia di Lucy", ma che in realtà è più vecchia di 120.000 anni.
Si tratta di una femmina di circa 3 anni, anche questa con uno scheletro abbastanza completo.
Finora sono stati scoperti oltre 400 campioni di A. afarensis in Etiopia, Kenya, Tanzania, datati tra 3,9 e 2,9 milioni di anni fa.
È stato però rinvenuto un fossile anche in Ciad, dove in precedenza si erano trovati resti di Australopithecus bahrelghazali, dimostrando l'ampia distribuzione di questo Ominino, ma anche la grande longevità: è vissuto per un milione di anni!
Ambiente e modo di vita
Il clima di gran parte dell'Africa si stava inaridendo durante il periodo di A. afarensis, per cui le foreste venivano progressivamente sostituite da aree cespugliose.
L'habitat era di tipo boschivo, con macchie di prateria in prossimità di laghi e pozze d'acqua.
Dalla morfologia dei denti si desume che fosse prevalentemente vegetariano, si nutriva di frutti e foglie, ma anche di termiti, uova e piccoli animali. I grandi molari e lo spesso smalto suggeriscono che potesse nutrirsi anche di cibi più duri, come radici, noci quando gli altri alimenti non erano disponibili.
Caratteristiche
Il gran numero di reperti ci permette di avere un quadro abbastanza completo di questo Ominino.
I maschi, molto più grandi delle femmine, erano alti circa 150 cm e pesavano fino a 65 kg, mentre le femmine arrivavano a 100 cm e pesavano 30 - 40 kg.
A. afarensis ha la faccia molto somigliante a quella dello scimpanzé: è larga, con la fronte bassa, la cresta ossea sovraorbitale, il naso piatto, l'assenza del mento. Gli zigomi sono pronunciati e c'è un forte prognatismo.
(Crediti:
Cicero Moraes
- CC BY-SA 3.0)
Il cranio è privo delle forti sovrastrutture tipiche delle grandi scimmie antropomorfe e il volume cerebrale è mediamente di 450 cc.
La mascella è sporgente e la mandibola è voluminosa, con molari abbastanza grandi e con smalto spesso. I denti, disposti a U, mostrano caratteristiche a metà strada tra quelli delle scimmie antropomorfe e quelli dell'uomo attuale, con incisivi molto sviluppati, mentre i canini, non eccessivamente differenziati nei due sessi, sono molto più piccoli di quelli delle scimmie moderne.
Le braccia erano forti e relativamente più lunghe delle gambe; il rapporto dell'omero con il femore in afarensis è simile a quello di uno scimpanzé: 95%, mentre quello di un essere umano moderno è intorno al 70%.
La scapola simile a quella delle antropomorfe e l'anatomia delle ossa carpali (falangi lunghe e ricurve) suggeriscono una presa potente che mostra ancora una certa attività arboricola presente nella specie. Erano perciò in grado di arrampicarsi rapidamente sugli alberi per sfuggire ai predatori e per ripararsi durante la notte.
Scheletro di Lucy, scimpanzé e uomo a confronto
A. afarensis aveva una buona stazione eretta, rilevabile dallo spostamento del foro occipitale verso la base del cranio, dalla forma del bacino, dal femore e dall'articolazione del ginocchio. Le dita dei piedi sono però ancora lunghe e arcuate, retaggio di antenati quadrumani, con l'alluce rivolto in avanti, ma ancora leggermente divergente e il piede un po' arcuato longitudinalmente.
Quanto alla marcia bipede, possediamo la conferma di una settantina di impronte fossilizzate, che si estende per circa 25 m, lasciate da tre individui che camminavano con passo sicuro, un giorno di 3,6 milioni di anni fa, su un terreno molle di pioggia formato dalla cenere esplosa da un vulcano della Rift Valley. Il sole asciugò rapidamente la cenere, che venne successivamente ricoperta da molta altra cenere e sabbia portata dal vento, fossilizzando le impronte degli Ominini insieme a quelle di una ventina di specie di animali.
Alcuni paleontologi però ritengono che le impronte possano essere di A. africanus, dal momento che il luogo del ritrovamento dista 1500 km da Hadar.
(Crediti:
Fidelis T Masao and colleagues
- CC BY-SA 4.0)
Implicazioni evolutive
Per quanto riguarda gli ascendenti, si ritiene che non derivi direttamente da A. anamensis, ma da una sua sottopopolazione, come abbiamo spiegato sopra.
Da questo Ominino derivano due linee di discendenti: da una parte, la linea delle Australopitecine, comprendente A. africanus e P. aethiopicus; dall'altra A. garhi e Homo. Secondo altri paleontologi Homo non sarebbe collegato ad afarensis e forse nemmeno ad A. africanus.
Vedremo più avanti gli altri collegamenti di A. afarensis con le diverse specie di Australopithecus e Homo.
Australopithecus deyiremeda
Australopithecus deyiremeda è un Ominino trovato tra il 2009 e il 2012 nella regione dell'Afar, in Etiopia, a 35 km dal sito di Hadar dove sono stati recuperati i resti di Lucy.
Il nome specifico deyiremeda deriva dalla lingua Afar "deyi", "vicino" e "remeda", "parente", quindi: "parente stretto".
Sono stati trovati parti di mandibola, mascella, denti, piede, appartenenti a quattro individui all'interno di uno strato argilloso, datato radiometricamente 3,5 - 3,3 milioni di anni fa (Pliocene medio), periodo che si sovrappone a quello di Lucy e anche di A. bahrelghazali e Kenyanthropus platyops.
La creazione della nuova specie viene giustificata dalle differenze con i fossili di A. afarensis, però l'eseguità del numero di reperti non consente di affermare con certezza la validità della specie, che potrebbe invece rientrare nella variabilità di A. afarensis.
(Credit image: Yohannes Haile-Selassie/© Cleveland Museum of Natural History)
Ambiente e modo di vita
A. deyiremeda viveva nello stesso ambiente di A. afarensis, costituito da aree boschive, ampie praterie, nei pressi di un lago o di un fiume.
Per poter vivere nel medesimo ambiente, dovevano necessariamente occupare nicchie ecologiche diverse altrimenti, per il principio di esclusione competitiva, una delle due specie avrebbe preso il sopravvento sull'altra, mentre i reperti indicano che hanno convissuto per almeno 200.000 anni.
Le differenze morfologiche dei denti, più piccoli in A. deyiremeda, suggeriscono che avessero un regime alimentare diverso, almeno durante i periodi di carestia.
L'industria litica del Lomekwiano (3,3 m.a.), attribuita a Kenyanthropus platyops, potrebbe invece essere opera di A. deyiremeda, ma al momento non ci sono prove certe.
Caratteristiche
I reperti a disposizione mostrano alcune differenze rispetto ai contemporanei A. afarensis, K. platyops, A. bahrelghazali, tali da giustificare la nuova specie A. deyiremeda per alcuni, ma insufficienti per altri.
La faccia mostra un certo prognatismo, con gli zigomi posti più avanti rispetto ad A. afarensis. La mandibola è piccola ma più robusta di quella di A. afarensis, anche i canini sono più piccoli, così come i molari, che hanno tre radici, ma lo smalto è spesso. Queste differenze mostrano una dieta basata su alimenti diversi da quelli di A. afarensis.
Sono state ritrovate anche le ossa di un piede che presentano caratteristiche più primitive rispetto a quelle di Lucy e le avvicinano a Ardipithecus, ma non sono state attribuite alla nuova specie per mancanza di una chiara associazione.
Implicazioni evolutive
A. deyiremeda potrebbe derivare da A. afarensis mediante un processo di cladogenesi, oppure per divergenza da A. anamensis.
Australopithecus bahrelghazali
Fino al 1996 tutti i resti di ominidi erano stati trovati a Est del continente africano (Etiopia, Kenia e Tanzania, e anche in Sudafrica). Questo nuovo ominide è invece stato trovato a 2500 km ad ovest della Rift Valley nell'antico letto del fiume Bahr el Ghazal in Chad.
La nuova specie Australopithecus bahrelghazali, "l'uomo del fiume delle gazzelle", soprannominato Abel, (in omaggio al geologo di Poitiers Abel Brillanceau scomparso in Camerun) è ritenuta valida solo da un piccolo gruppo di ricercatori per il numero limitato di reperti e per l'affinità dell'esemplare ai resti di A. afarensis, anche se ci sono dissomiglianze che ne giustificherebbero la specie. La principale differenza è la localizzazione, per cui alcuni affermano che si tratta di una variazione regionale di A. afarensis, il che implicherebbe un'ampia estensione geografica di quest'ultimo.
I reperti, trovati in tre siti, sono costituiti da frammenti di mandibole, datati 3,5 - 3 m.a. (tra metà e fine Pliocene) in base alla fauna ad essa associata.
Mandibola olotipo di Abel (Crediti: Clicca sull'immagine - CC BY NC ND 4.0)
Ambiente e modo di vita
A. bahrelghazali viveva in un ambiente di savana boscosa, con aree erbose, vicino a un grande lago. Si nutriva di fiori, frutti, semi, tuberi, rizomi, Carex e Insetti.
Caratteristiche
Di questo Ominino sono stati trovati 3 resti parziali di mandibole e un premolare isolato.
Uno dei frammenti di mandibola presenta un incisivo, due canini e quattro premolari a tre radici, robusti e con smalto relativamente sottile.
La mandibola si differenzia da quella di A. afarensis perché la sinfisi mandibolare è molto più verticale e i molari hanno 3 radici invece di 2.
È sufficiente questa differenza per creare una nuova specie? E in questo caso deriva filogeneticamente da una popolazione di A. afarensis o da A. anamensis?
Australopithecus africanus
Australopithecus africanus è un Ominino vissuto prevalentemente in Sudafrica, nei siti di Taung, Makapansgat e Sterkfontein, dove sono stati trovati resti di centinaia di individui. Interessante questa località perché i reperti sono stati rinvenuti all'interno di grotte. È improbabile che occupassero le grotte, forse vi sono caduti, o trascinati da predatori o intrappolati mentre cercavano sorgenti d'acqua.
Il nome specifico significa "scimmia dell'Africa", dal luogo di ritrovamento della gran parte dei fossili. Il primo è stato "Baby Taung", un piccolo di circa 3 anni ritrovato da Raymond Dart nel 1924 a Taung.La datazione radiometrica è difficile perché mancano rocce eruttate da vulcani, perciò ci si basa sulle associazioni faunistiche. Si stima che sia vissuto tra 3 e 2,4/2 milioni di anni fa, in un periodo di grandi cambiamenti climatici ed ecologici. Un reperto più antico, circa 3,67 milioni di anni, è costituito da uno scheletro completo al 90% (più di Lucy) di cui inizialmente erano state trovate le ossa del piede sinistro. Soprannominato "Little Foot", è una femmina anziana alta circa 130 cm, con le gambe relativamente lunghe in proporzione alle braccia, appartenente forse ad A. africanus. Il ritrovamento complica la collocazione filogenetica di A. africanus perché sarebbe contemporaneo di A. afarensis e non un suo discendente, a meno che non si tratti di una nuova specie (A. prometheus), come qualche autore sostiene.
Ambiente e modo di vita
I più antichi rappresentanti di questa specie vivevano nella foresta a galleria, per poi passare alla savana e alla prateria, man mano che il clima inaridiva, rifugiandosi sempre sugli alberi per dormire o raccogliere il cibo.
Rispetto agli Ominini precedenti, si nutrivano di cibi più duri, ma manteneva comunque una dieta varia, simile a quella degli scimpanzé.
Choppers e scaglie di pietra sono stati trovati nei siti di A. africanus, ma non ci sono prove che siano gli artefici della fabbricazione, anche se probabilmente usavano pietre per rompere noci o frantumare cibi duri.
Caratteristiche
Dal punto di vista del fisico non era molto diverso dall'afarensis, con caratteristiche umane scimmiesche, ma con dimensioni maggiori del corpo.
Il maschio poteva arrivare a 140 cm e pesare 40 kg mentre la femmina, più piccola, era alta 115 cm e pesava 30 kg.
Il cranio, dalla capacità media di 470 cc, diventa più arrotondato, non ha le creste per l'inserzione muscolare e il cervello mostra la presenza dell'area di Broca. Il foro occipitale si trova in posizione più avanzata rispetto alle scimmie.
La faccia ha un marcato prognatismo e forti zigomi, le arcate sopracciliari sono accentuate, con la fronte più alta rispetto ad A. afarensis.
(Crediti:
José Braga; Didier Descouens
- CC BY-SA 4.0)
La mandibola è completamente parabolica, come quella dell'uomo, e i canini sono più ridotti rispetto ad A. afarensis, ma con un accentuato dimorfismo sessuale, anche se non quanto le scimmie. Gli incisivi sono più piccoli e i molari più grandi sono adatti alla masticazione di frutti coriacei e di radici. Anche se i denti e le mascelle di africanus sono molto più grandi di quelli degli esseri umani, sono molto più simili ai denti umani che a quelli delle scimmie.
Le braccia sono ancora molto lunghe, e le ossa delle mani sono un po' curve, perciò ciò si può dedurre che fosse un esperto scalatore di alberi. Le ossa della caviglia sono perfettamente conformate per un'andatura bipede esattamente come la nostra, mentre l'alluce è divaricato rispetto alle altre dita, che gli consentiva di arrampicarsi sugli alberi.
Anche la pelvi e il femore indicano che camminava abitualmente in modo bipede.
Implicazioni evolutive
La miscela di caratteristiche moderne e più arcaiche di A. africanus, lo fa derivare direttamente da A. afarensis, anzi, qualcuno afferma che è una variazione regionale di quest'ultimo. Da A. africanus si passerebbe poi a Paranthropus robustus, secondo alcuni autori, mentre per altri deriverebbe indirettamente da A. afarensis. La derivazione da A. afarensis è messa in dubbio per l'angolatura del ginocchio più primitiva e per la datazione: se A. prometheus è da inserire nella specie africanus, i due Ominini sono quasi contemporanei.
Altri studiosi invece accentuano le differenze ritenendo avesse un'andatura più simile alle scimmie antropomorfe che ad A. afarensis, per cui non dovrebbe derivare da lui.
Inoltre, qualcuno vede in esso il progenitore del genere Homo, mentre per altri sarebbe A. afarensis l'antenato sia di Homo, sia di A. africanus (con le obiezioni dette sopra).
Australopithecus garhi
Nel 1999 è stata introdotta la nuova specie Australopithecus garhi, basandosi sui resti scoperti all'interno di un membro della Formazione Bouri nella regione Afar dell'Etiopia. In un raggio di una decina di chilometri sono stati trovati: omeri, un parziale osso parietale, un cranio parziale, ulna, radio, femore, fibula, piede, mandibola, altri frammenti scheletrici, datati circa 2.5 milioni di anni.
Il nome specifico garhi significa "sorpresa" nella lingua locale dell'Afar.
(Crediti:
Sailko
- CC BY 3.0)
Ambiente e modo di vita
L'habitat di A. garhi era ricco di vegetazione, con ampie praterie, zone di savana boscosa in espansione, con abbondanza di acqua e di animali.
L'alimentazione era simile a quella degli altri Ominini, costituita da quanto offriva l'ambiente. Nei periodi di scarse risorse, i grandi molari permettevano di cibarsi di alimenti più duri e fibrosi.
Su molti Mammiferi sono state rinvenute tracce di utensili di pietra usati per staccare la carne dalle carcasse o per frantumare le ossa per poterne asportare il midollo, indispensabile fonte energetica per lo sviluppo cerebrale. Questo fa supporre che A. garhi fosse in grado di fabbricare e utilizzare gli strumenti di pietra simili a quelli della tecnologia olduvaiana che sono stati trovati nel vicino sito di Gona, datati tra 2,5 e 2,6 milioni di anni.
Caratteristiche
A. garhi si presume che potesse raggiungere un'altezza di 140 cm, con una taglia corporea probabilmente più piccola rispetto ad afarensis e con il dimorfismo sessuale paragonabile.
Ancora una volta troviamo un mosaico di caratteri scimmieschi e umani.
Il cranio ha una faccia con elevato prognatismo, simile all'A. afarensis, ma con i denti premolari e molari che differiscono per dimensioni: sono molto più grandi e con smalto più spesso ma non come quelli di Paranthropus. L'arcata dentale è leggermente parabolica, con le file dei denti un po' divergenti.
Il cranio ha una cresta sagittale e zigomi molto grandi che lo avvicinano al genere Paranthropus o, viceversa, a Ominini più primitivi; la capacità cranica è di 450 cc, analoga a quella delle altre Australopitecine.
Per quanto riguarda gli arti, rispetto all'uomo moderno, A. afarensis ha braccia lunghe e gambe corte, mentre in A. garhi compare per la prima volta l'allungamento del femore che poi caratterizzerà gli Ominini successivi; nell'evoluzione umana, quindi, prima si è avuto l'allungamento del femore, e poi l'accorciamento del braccio.
Le falangi curve della mano permettono di afferrare facilmente i rami per arrampicarsi, mentre la camminata è bipede abituale.
Implicazioni evolutive
Come negli Australopitechi precedenti la correlazione filogenetica è complessa.
Molti autori considerano A. garhi un discendente di A. africanus - con cui però ha poche somiglianze - o più probabilmente di A. afarensis, che abitava la medesima regione e condivide alcune caratteristiche anatomiche.
Per quanto riguarda i discendenti, originariamente era ritenuto un antenato diretto del genere Homo ma queste due specie non condividono tratti unici propri. Inoltre, è stato recentemente trovato un fossile del genere Homo datato 2,8 milioni di anni, perciò non può essere un suo discendete. In conclusione, A. garhi sembra un ramo laterale della linea umana e non un suo antenato.
Piuttosto, i grandi molari lo avvicinano a Paranthropus, ma non combinano le altre caratteristiche.
Australopithecus sediba
Australopithecus sediba è stato rinvenuto nel 2008 in una grotta a Malapa, a 40 km da Johannesburg (Repubblica del Sudafrica) e a 15 km da Sterkfontein, il luogo di ritrovamento di A. africanus.
Si tratta di alcuni scheletri parziali da cui sono stai ricostruiti MH1, (Malapa Hominin 1) un giovane maschio di 10 - 13 anni soprannominato Karabo, cioè "la risposta" e MH2, una femmina adulta (circa 20 - 30 anni). Questi Ominini sono rimasti intrappolati fino alla morte in una grotta mentre probabilmente cercavano l'acqua oppure vi sono stati trascinati da un improvviso temporale dove quasi subito sono stati ricoperti da sedimenti, condizione ideale per la fossilizzazione.
Il nome specifico "sediba" deriva da "sorgente" nella lingua Sesotho del Sudafrica.
La datazione radiometrica ha restituito un'età compresa tra 1,98 e 1,78 milioni di anni.
(Crediti:
Cicero Moraes
- CC BY 4.0)
Ambiente e modo di vita
A. sediba viveva in un ambiente collinare boscoso nel cui sottosuolo, di matrice calcarea, il fenomeno carsico produceva una serie di cavità. Lo scorrere dell'acqua attirava numerosi animali che potevano poi rimanere intrappolati.
La dieta era costituita da cibi teneri di origine vegetale, integrata da piccoli animali. Solo saltuariamente mangiava semi e frutta con guscio.
Caratteristiche
Con un miscuglio caratteristiche scimmiesche e caratteri umani più moderni rispetto agli Ominini trattati in precedenza, il giovane maschio di A. sediba era alto circa 127 cm e pesava 27 kg, mentre la femmina MH2, della stessa altezza, poteva pesare 33 kg.
Il cervello rientra nelle dimensioni delle altre Australopitecine, attorno 420 - 450 cc, ma organizzato in modo più moderno. Infatti, si nota uno sviluppo della regione temporale sinistra, che nell'uomo è deputata al linguaggio e il lobo frontale appare più simile a quello umano.
La faccia ha ancora gli zigomi alti e larghi, ma meno accentuati rispetto ad A. Africanus, il naso scimmiesco e compare un accenno di mento.
(Crediti: Photo by
Brett Eloff
. Courtesy
Profberger
and
Wits University
- CC BY-SA 4.0)
I denti sono inseriti in una mandibola leggermente parabolica e differiscono da quelli di A. afarensis, avvicinandosi a quelli di A. africanus e di Homo. I premolari e i molari sono relativamente piccoli, come anche i muscoli della masticazione.
Gli arti superiori sono ancora lunghi, ben adattati ad arrampicarsi sugli alberi e il polso è ancora primitivo. La mano, invece, assume un aspetto molto più moderno: le dita sono più corte, il pollice si allunga consentendo una presa di precisione per la manipolazione degli oggetti piccoli.
Il torace nella parte superiore è a forma conica come nelle scimmie antropomorfe e nelle Australopitecine, mentre nella parte inferiore si restringe, assumendo una forma più cilindrica come nell'uomo.
Le vertebre lombari sono in uguale numero di quelle dell'uomo moderno e la curvatura lombare è simile a quella di Homo erectus.
Nel bacino si osservano ancora caratteristiche arcaiche, come le ridotte dimensioni e il canale del parto, ma le ossa hanno un orientamento analogo a quello umano. La pelvi si è modificata in senso moderno prima dello sviluppo del cervello e non come sua conseguenza, perciò la pressione selettiva è stata orientata più verso un adattamento alla locomozione bipede.
Le gambe sono più lunghe rispetto alle precedenti Australopitecine e le caviglie hanno un aspetto moderno. Il piede ha un calcagno primitivo gracile e un robusto malleolo, non adatto alla corsa prolungata, però presenta un arco plantare. Questa somma di caratteristiche sembra un compromesso tra la deambulazione bipede e l'arrampicata. Il bipedismo abituale, tuttavia, è unico e particolare: la gamba è completamente estesa, ma il piede ad ogni passo ruota verso l'interno, come nei podisti e il peso si scarica sul bordo esterno.
Implicazioni evolutive
Al momento del ritrovamento A. sediba è stato visto come l'"anello di congiunzione" tra A. africanus e Homo habilis o forse un diretto predecessore di Homo ergaster, per la sua particolare mescolanza di caratteri primitivi delle Australopitecine e moderni presenti in Homo e alcuni autori ancora lo pensano.
Più volte però abbiamo ribadito che l'evoluzione umana non è stata un processo lineare, ma è un cespuglio con rami che germogliano e si seccano. A. sediba potrebbe essere un ramo secco. Infatti, chi non crede che A. sediba sia un nostro antenato, ritiene che ci sia una incompatibilità con i tempi: i più antichi rappresentanti del genere Homo finora ritrovati sono più vecchi di almeno 800.000 anni, troppi perché si possa affermare un rapporto di discendenza, a meno che non si voglia mettere in discussione i reperti di Homo, oppure che A. sediba sia vissuto così a lungo da sovrapporsi con Homo.
I tratti tipicamente umani potrebbero piuttosto essere spiegati con l'evoluzione convergente: sarebbero il risultato di adattamenti al medesimo ambiente che sarebbero comparsi in maniera indipendente, senza che ci sia un reale rapporto evolutivo.
Un'altra ipotesi sostiene che le somiglianze tra A. sediba e Homo siano dovute a un antenato comune non ancora scoperto. Questo risolverebbe il problema della sovrapposizione temporale.
Infine l'ipotesi che dà meno problemi: A. sediba è un discendente diretto di A. Africanus. Le prove a favore sono: la stessa provenienza geografica, la taglia corporea, parte del cranio, la dentatura, la proporzione simile degli arti, accanto a caratteristiche derivate come la forma dell'arcata dentale e la faccia.
Accentuando le somiglianze, qualche autore sostiene che A. sediba non sia una nuova specie ma una forma tardiva di A. africanus.