La genetica è la disciplina che meglio ci consente di comprendere cosa ci rende umani, cioè quali modifiche hanno portato a differenze così importanti a livello di organismo tra gli umani e le scimmie antropomorfe nonostante le esigue differenze genetiche. Tra l'uomo e lo scimpanzé, ad esempio, c'è una differenza genetica dell'1,5% soltanto.
L'approccio genetico è di tipo comparativo, soprattutto con lo scimpanzé, ed è reso possibile dal sequenziamento del DNA, che negli ultimi anni si è velocizzato enormemente.
I dati che emergono rivelano che circa 18.000 frammenti di DNA fanno la differenza tra uomo e scimpanzé, ma occorre capire quali cambiamenti sono effettivamente significativi. Gran parte delle differenze, infatti, potrebbe essere costituita da mutazioni neutrali e perdita di elementi ripetitivi.
Le ricerche mostrano che non sono solo le singole mutazioni nei geni strutturali a giustificare la diversità tra scimmie e Ominini, ma anche una serie di mutazioni che coinvolgono i geni regolatori e soprattutto i riarrangiamenti cromosomici.
Riportiamo qui di seguito una serie di modifiche di diverse tipologie che hanno portato alla specie umana.
Una mutazione strutturale importante riguarda il gene MYH16 che codifica per una proteina chiamata catena pesante 16 della miosina. Si tratta di una proteina muscolare che nei Primati si trova solo nei muscoli temporali e masseteri della mandibola. Essa provoca lo sviluppo di potenti muscoli masticatori nella maggior parte dei Primati, ma anche in Australopithecus e Paranthropus. Negli esseri umani una mutazione di questo gene ne impedisce la sua espressione, perciò i muscoli sono molto più piccoli, con una riduzione di otto volte delle dimensioni delle fibre muscolari umane rispetto a quelle di macaco.
Si ipotizza che la riduzione muscolare abbia comportato la gracilizzazione delle ossa facciali, consentendo un controllo più preciso della mandibola, facilitando il linguaggio. Il cranio ora non ha più bisogno di sovrastrutture ossee per l'inserzione dei potenti muscoli e, alleggerendosi, ha potuto crescere, permettendo anche un'accelerata encefalizzazione.
Questa mutazione sarebbe apparsa circa 2,4 milioni di anni fa, in coincidenza con la comparsa del genere Homo. Alcuni studiosi però ritengono che sia molto più antica, almeno 5,3 milioni di anni fa, quando si sono separate le linee degli Ominini dagli scimpanzé.
Il cervello umano è proporzionalmente più grande rispetto agli altri Primati, inoltre, ha subito una crescita accelerata a partire da 3 - 4 milioni di anni fa, fino a triplicarne le dimensione.
Questo improvviso accrescimento potrebbe essere stato causato da una mutazione su uno dei quattro geni NOTCH presenti nei Mammiferi, che sono responsabili della produzione di neuroni durante lo sviluppo cerebrale: una duplicazione ha inserito una copia parziale extra in NOTCH2 nel genoma di un antenato comune di umani, scimpanzé e gorilla trasformandolo in uno pseudogene non funzionale e tale è rimasto in scimpanzé e gorilla.
Nella linea umana una nuova modifica del gene NOTCH2 ne ha ripristinata la funzionalità e successivamente è stato più volte duplicato, originando 4 geni correlati NTCHNL2 di cui uno è uno pseudogene non funzionale ma le altre tre varianti sono attive. Questi tre geni, presenti nel cromosoma 1, sono stati trovati anche nel DNA su due Neanderthal e un Denisova e giustificherebbero la differenza di sviluppo cerebrale tra i rappresentanti del genere Homo e gli altri Primati.
Un altro gene coinvolto nello sviluppo del cervello umano è SRGAP2, anch'esso localizzato nel cromosoma 1, la cui funzione è di aumentare la velocità di migrazione e differenziazione neuronale che porta allo sviluppo della corteccia cerebrale.
Il gene ha avuto una prima duplicazione 3,4 milioni di anni fa e una seconda 2,4 milioni di anni fa, quando c'è stata la separazione tra i generi Homo e Australopithecus e la comparsa della prima industria litica. Nella linea umana perciò sono presenti 4 copie simili del gene: il gene originale e tre copie che non sono identiche all'originale perché a ciascuno manca una piccola parte. Solo l'ultimo duplicato, il gene SRGAP2C, sembra produrre una proteina funzionante che impedisce il funzionamento del gene originale. Questa interferenza sul gene originario allunga il tempo di maturazione delle cellule cerebrali, consentendo loro di avere più tempo per sviluppare connessioni su lunghe distanze.
La duplicazione incompleta di questo gene, coincidente con l'espansione e ispessimento della neocorteccia, sembra dunque responsabile dello sviluppo di alcune funzioni che hanno portato l'emergere della complessa cultura e comportamento negli antenati degli esseri umani moderni.
Una mutazione riguardante i geni regolatori, interessa il gene FOXP2. Questo gene si trova nel cromosoma 7 umano e codifica un fattore di trascrizione (la proteina FOXP2) che può attivare o reprimere i geni specifici - oltre un centinaio - coinvolti nello sviluppo del cervello e nella regolazione delle connessioni sinaptiche tra i neuroni. Per il normale sviluppo della parola e del linguaggio sono necessarie due copie funzionali.
Il gene sembra essere rilevante per lo sviluppo del linguaggio nell'uomo in quanto regolerebbe sia lo sviluppo neuronale delle aree deputate alla comprensione e alla produzione delle parole, sia delle strutture anatomiche necessarie alla fonazione, coordinando i movimenti muscolari della bocca che consentono di parlare.
La regione che comprende il gene è altamente conservata nei Vertebrati e le proteine FOXP2 nei macachi, gorilla e scimpanzé sono identiche e non hanno subito modifiche fin dalla separazione della linea evolutiva dello scimpanzé da quella dell'uomo, circa 4 - 6 milioni di anni fa.
Tra gli scimpanzé e gli umani la proteina si differenzia per soli due amminoacidi (un'ulteriore sostituzione si trova negli oranghi), ma porta a un'espressione maggiore o minore di ben 116 geni bersaglio, per questo si hanno delle differenze così marcate tra scimpanzé e umani. Le mutazioni dei due amminoacidi dovrebbero essere avvenute dopo la separazione della linea evolutiva umana da quella dello scimpanzé, nello stesso periodo in cui ha iniziato a emergere il linguaggio negli umani ed è condivisa con i Neandertaliani e con i Denisoviani. Una delle due mutazioni sembra risalire a circa 200.000 anni fa.
Tra i 2 e i 3 milioni di anni fa il gene CMAH ha perso la sua funzione che consisteva nella produzione di un particolare tipo di acido sialico, con conseguente accumulo del suo precursore. In questo periodo i rappresentanti del genere Homo cominciavano ad occupare gli aperti e assolati spazi della savana. In un ambiente scoperto la corsa può diventare un vantaggio non solo per sfuggire ai predatori ma soprattutto per rincorrere le prede fino allo sfinimento anche in pieno giorno, quando gli altri carnivori si riposano. In questo periodo avvenivano importanti cambiamenti anatomici e fisiologici nei nostri antenati, come l'allungamento delle gambe, piedi grandi, potenti muscoli glutei, ghiandole sudoripare, tutti elementi che fornivano un vantaggio selettivo nell'adattamento al nuovo ambiente.
Da esperimenti sui topi, la mutazione del gene CMAH comporta un aumento della resistenza allo sforzo fisico e la capacità di correre su lunghe distanze perché si sviluppa la muscolatura degli arti posteriori, il metabolismo delle cellule muscolari diviene più efficace, aumenta la respirazione mitocondriale, migliora la distribuzione del sangue e dell'ossigeno.
Se questa scoperta fosse confermata anche sull'uomo, ne farebbe il migliore maratoneta del regno animale.
Il risvolto negativo di questa mutazione è la riduzione della fertilità, un aumentato rischio di sviluppare tumori con il consumo di carne rossa e il raddoppio del rischio di gravità dell'aterosclerosi.
Tra i fattori evolutivi, un ruolo fondamentale è dato dal riarrangiamento, alterazione cromosomica strutturale che comporta uno spostamento di parti del cromosoma da un sito all'altro del cromosoma stesso (delezioni, inversioni) o tra cromosomi diversi (traslocazioni), creando nuove combinazioni geniche. Secondo recenti studi di comparazione genomica, la specie umana ha in comune con gli altri Primati in sostanza tutto il suo materiale cromosomico, anche se talvolta organizzato in maniera diversa. I riarrangiamenti possono perciò essere più efficaci delle mutazioni puntiformi nell'indurre repentini cambiamenti evolutivi.
Un tipo di riarrangiamento riguarda i cambiamenti nella struttura e/o nel numero dei cromosomi, che abbiamo già trattato nella pagina dell'evoluzione.Anche la traslocazione del centromero, possibile nei cromosomi 4, 6 e 10, senza modifica dell'ordine delle sequenze geniche, si può considerare un tipo di riarrangiamento responsabile dell'evoluzione (vedi disegno a fianco).
Un cambiamento importante per l'evoluzione divergente è la duplicazione genica, anche questa già affrontata nella pagina dell'evoluzione. Se, per esempio, le popolazioni di una specie si trovano ad avere un gene duplicato da mutazioni alternative, si presenta la possibilità di adattarsi a più di un ambiente e contemporaneamente di esporsi all'insorgenza di barriere che potrebbero impedire gli accoppiamenti, fino a trasformarle nel tempo in altrettante specie.
Appare dunque ragionevole l'ipotesi che individua nei riarrangiamenti di uno o più geni in qualche nostro antichissimo antenato non ancora Ominino, l'alterazione della fisiologia, o di altre funzioni, fino a determinare una barriera riproduttiva tra quel progenitore e gli altri Primati suoi conspecifici e ciò avrebbe costituito il primo passo sulla via della nostra linea evolutiva.
Oltre a tutte queste modifiche genetiche, oggi si ritiene che l'uomo sia il risultato della neotenia, di cui abbiamo già parlato nella pagina dell'evoluzione.
Eva mitocondriale
Oggi tutti gli abitanti della Terra appartengono alla specie Homo sapiens, l'unica sopravvissuta fra quelle che esistevano fino a 30.000 anni fa.
Gli studi sul DNA mitocondriale effettuati su numerose popolazioni sembrano anche confermare che tutti gli esseri umani viventi sarebbero i discendenti di un'unica donna, soprannominata Eva mitocondriale, vissuta nell'Africa tra 100 e i 200 mila anni fa.
Il DNA mitocondriale ha la caratteristica peculiare di essere trasmesso alla generazione successiva solo attraverso la madre perché quello portato dallo spermatozoo paterno non entra nella cellula uovo durante la fecondazione. Inoltre, l'analisi di questo tipo di DNA presenta numerosi vantaggi: contiene pochi geni, è abbondante nella cellula, ha un tasso di mutazione superiore al DNA nucleare e resiste maggiormente alla degradazione.
Com'è possibile che una singola donna sia la madre di tutti i viventi attuali?
Innanzitutto non significa che ci sia stata una prima donna (Eva biblica) o che fosse l'unica o la prima del suo tempo, né che avesse qualità eccezionali, ma che, fra le tante femmine, per un processo di deriva genetica - considerando che il numero di individui nelle popolazioni dell'epoca era esiguo (per un collo di bottiglia, isolamento geografico di una sottopopolazione, ecc.) -, solo una ha lasciato discendenti, attraverso le linee materne, fino a noi. C'è però da considerare che non è stato analizzato il DNA di tutti i viventi e, se fosse possibile farlo, non è detto che non si scoprano discendenti da altre linee materne.
Questa particolare discendenza si può dimostrare con il "principio della coalescenza". Ogni donna può non avere figli, o avere solo figli maschi, figli maschi e femmine o solo figlie femmine: nei primi due casi il DNA mitocondriale di quelle donne non verrà più trasmesso, perciò a ogni generazione un certo numero di tipi materni si estinguerà. Le femmine che invece hanno avuto almeno una figlia femmina continueranno a trasmettere il loro DNA alla progenie. Con il tempo i tipi scompariranno tutti, con l'eccezione di uno, cioè ogni altra discendenza femminile alla fine non ha avuto una progenie femminile e non è riuscita a trasmettere il suo DNA mitocondriale. Ragionando all'inverso, tutte le donne oggi viventi hanno ereditato il loro DNA mitocondriale dalle loro madri. Non tutte le madri avranno avuto figlie femmine, perciò il DNA mitocondriale delle donne attuali può essere derivato solo da una parte delle linee mitocondriali della generazione precedente. Retrocedendo nel tempo, ogni generazione passata vede restringersi il numero di donne che ha contribuito al DNA mitocondriale delle donne viventi e alla fine il numero delle linee mitocondriali esistenti deve necessariamente ridursi a una: Eva mitocondriale.
Per analogia, si può portare l'esempio del cognome. Tutti i figli (maschi e femmine) ereditano il cognome del padre: se una coppia non ha figli o solo figlie femmine il cognome non viene trasmesso alla generazione successiva e col tempo, al ripetersi delle medesime condizioni, quel cognome scompare.
Adamo Y-cromosomiale
Il DNA del cromosoma Y rappresenta la controparte maschile del DNA mitocondriale femminile: come il DNA mitocondriale è trasmesso solo dalle femmine, il cromosoma Y è trasmesso solo dai maschi. L'ultimo antenato comune a tutti i maschi viventi di Homo sapiens discendenti in linea paterna è soprannominato Adamo cromosomiale-Y o Adamo cromosomico ed è vissuto in Africa attorno a 75.000 anni fa secondo alcuni, perciò sarebbe più recente rispetto a Eva mitocondriale; tuttavia, recenti studi lo retrodatano tra i 100.000 e i 200.000 anni fa, più o meno nello stesso periodo di Eva o addirittura più antico.
Questa popolazione, come quella riguardante Eva, avrebbe subito un collo di bottiglia tale da ridurla a un migliaio di individui e da qui la deriva casuale.
Anche qui valgono gli stessi principi presentati per Eva: Adamo non è stato l'unico maschio del suo tempo, ma l'unico che ha lasciato un'ininterrotta discendenza maschile fino ad oggi e nemmeno dobbiamo pensare che Adamo sia stato il compagno di Eva i cui figli hanno popolato la Terra.
Origine multiregionale o singola?
Il moderno Homo sapiens, secondo le analisi genetiche viste sopra, ha un'origine temporalmente recente e la sua culla è africana, ma rappresentanti del genere Homo erano già presenti in Europa e in Asia da quasi due milioni di anni fa: come e dove ha avuto origine l'uomo moderno?
Secondo la vecchia ipotesi dell'evoluzione multiregionale (o della continuità regionale), Homo ergaster africano si sarebbe diffuso nei diversi continenti due milioni di fa, dove avrebbe gradualmente dato origine a quattro diverse linee evolutive: H. neanderthalensis vissuto in Europa avrebbe originato l'antenato di H. sapiens europeo; in Cina l'H. erectus sarebbe diventato l'antenato dell'H. sapiens cinese; l'Uomo di Java, vissuto in Indonesia, è l'antenato delle moderne popolazioni di Oceania e Australia; l'H. ergaster rimasto in Africa diventa l'antenato del moderno H. sapiens africano. In pratica questo modello giustifica la presenza di etnie diverse. Le popolazioni delle varie aree però non sarebbero rimaste isolate, ma un continuo flusso genico, con episodi di ibridazione, avrebbe mantenuto una sostanziale uniformità genetica, impedendo la speciazione
Questa ipotesi, che si basava solo su dati paleoantropologici, non è mai stata realmente sostenibile perché gli esseri umani sono troppo simili per derivare da diversi gruppi di Homo ergaster: il Dna mitocondriale di un neandertaliano di 29.000 anni fa rinvenuto nel Caucaso settentrionale ha una variabilità genetica al di fuori di quella dell'umanità attuale. Inoltre, H. neanderthalensis è convissuto con H. sapiens in alcune zone per circa 80.000 anni senza mescolarsi.
Quando la genetica, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, ha fornito nuovi elementi, l'ipotesi multiregionale è stata falsificata e perciò non è più accettata dalla maggioranza della comunità scientifica perché priva di prove concrete, è incompatibile con i nuovi dati antropologici e genetici e perché la probabilità che diverse linee evolutive possano sfociare nella stessa specie è praticamente nulla.
L'ipotesi più accreditata è quella dell'origine singola africana (Out of Africa) e presuppone che ci sia stata una prima migrazione (Out of Africa I) dell'Homo ergaster circa due milioni di anni fa, il quale si sarebbe evoluto nelle diverse specie di Homo, poi estinte, rinvenute nelle varie regioni della Terra: H. georgicus 1,8 milioni di anni fa a Dmanisi, H. erectus in Cina (oltre 1 milione di anni fa) e l'Uomo di Giava in Indonesia (1,5 milioni di anni fa).
I ritrovamenti in Cina di strumenti in pietra datati 2,1 milioni di anni fa e altri strumenti di almeno 700.000 anni rinvenuti nell'isola di Flores (Indonesia) e di Luzon (Filippine) hanno fatto pensare che ci sia stata una migrazione antecedente a quella di H. ergaster, avvenuta oltre due milioni di anni fa, nel Pleistocene inferiore, da parte di una specie di Australopithecus o di H. habilis (Out of Africa 0).
Una seconda migrazione, Out of Africa II riguarderebbe H. heidelbergensis, nato probabilmente in Africa da Homo ergaster tra 1 milione e 800.000 anni fa. Partendo dall'Africa si diffonde in tutto il Vecchio Mondo: Africa, Medio Oriente, Asia centrale, sovrapponendosi ai migranti della prima ondata, andando a occupare gli stessi territori, in Cina (250.000 anni fa) e anche a Giava (100.000 anni fa). Compie anche una migrazione verso la parte occidentale dell'Eurasia e arriva in Europa, dove diventerà Homo neanderthalensis per speciazione geografica.
Una popolazione di Homo ergaster - o altro Ominino da lui derivato (H. heidelbergensis?) - rimasta in Africa si sarebbe evoluta nell'H. sapiens. Lo ritroviamo 300.000 anni fa in Marocco, 200.000 anni fa in Etiopia e Tanzania, 180.000 anni fa in Africa centrale e 160.000 anni fa in Sudafrica. Un gruppo sarebbe migrato (Out of Africa III) più di 200.000 anni fa, diffondendosi in ogni parte del mondo, andando a sostituire le altre specie che lì vivevano, discendenti delle diaspore precedenti. Per alcuni autori si tratterebbe di Out of Africa II. I dettagli di questi spostamenti sono descritti nel paragrafo di H. sapiens.
L'ipotesi dell'origine singola africana è corroborata dal fatto che tra gli esseri umani esiste una varianza dell'1 - 2 per mille nell'intero patrimonio genetico e dalle prove genetiche che arrivano dal DNA mitocondriale e dal cromosoma Y, che escludono una molteplice origine dell'umanità, altrimenti Eva mitocondriale dovrebbe avere due milioni di anni. La nostra specie si è originata una sola volta in Africa e in un'epoca molto recente e anche tutte specie di Ominini antecedenti hanno la loro culla in Africa.
I sostenitori dell'ipotesi multiregionale hanno cercato più volte di confutare l'origine unica africana, obiettando che l'analisi del DNA mitocondriale non è sufficiente per escludere del tutto la possibilità di ibridazione ma sono sempre stati smentiti dai risultati sperimentali ottenuti dagli antropologi molecolari.
Sembrava tutto finito, non essendo stato possibile produrre risultati sperimentali a favore dei multiregionalisti, ma analisi del DNA compiute su i Neanderthal e i Denisoviani hanno evidenziato che una piccola percentuale del loro DNA è presente in Homo sapiens, ammettendo la possibilità del flusso genico, cioè un incrocio tra H. sapiens e H. neanderthalensis che ha lasciato una discendenza, anche se le analisi del DNA mitocondriale sembrano indicare che i Neanderthal e i Denisoviani si siano geneticamente separati dalla linea umana prima rispetto all'antenato comune e non rilevano alcun incrocio tra queste specie e Homo sapiens.
C'è poi il ritrovamento di un fossile di H. sapiens in Marocco, molto lontano dunque dall'Etiopia e dal Sudafrica, vecchio di 300.000 anni, che anticiperebbe la comparsa dell'uomo moderno di 100.000 anni. Anche il ritrovamento di un fossile di H. sapiens in Israele, associato a un'industria litica sofisticata, retrodaterebbe l'uscita dell'uomo dall'Africa di 40.000 anni.
Ad agitare ulteriormente le acque si è aggiunto un articolo del fisico Claudio Tuniz, pubblicato sul Corriere della sera il 24 luglio 2018 dal titolo "L'Homo Sapiens arriva dall'Asia?"che sembra sostenere la possibile origine asiatica di Homo sapiens, la multiregionalità, l'esistenza di ibridi tra H. sapiens e H. erectus e di forme di transizione tra le due specie. L'articolo ha suscitato molte critiche nella comunità scientifica ma C. Tuniz ha successivamente precisato che non intendeva riproporre la vecchia teoria multiregionalista ma, presentando le recenti scoperte, suggerire l'ipotesi che anche il modello Out of Africa andava rivisto.
I siti sovranisti (e simili) hanno sfruttato questa diatriba per cercare di negare l'origine africana dell'uomo moderno: è la politica che prevale sulla scienza.
In base a tutte queste considerazioni possiamo dire che, se il modello multiregionale è stato abbandonato da tempo, anche parte del modello dell'Out of Africa andrebbe parzialmente falsificato.
Mantenendo l'origine africana dell'uomo moderno, sono state proposte tre varianti.
Origine africana recente con ibridazione. H. sapiens quando è uscito dall'Africa si è ibridato con Neanderthal, Denisova e forse altri, che poi avrebbe sostituito, e questo spiegherebbe la presenza (percentualmente molto bassa) del DNA di queste specie nel nostro genoma; l'ibridazione sarebbe però un fatto eccezionale e i caratteri moderni sarebbero comparsi in Africa. La presenza del DNA di altri Ominini in H. sapiens può essere anche spiegata semplicemente con il fatto che hanno un antenato comune.
Modello dell'assimilazione. Anche questo modello prevede l'ibridazione, ma in misura maggiore rispetto al precedente, in aree molto vaste del continente euroasiatico. H. sapiens ha origine in Africa ma con le migrazioni le sue caratteristiche vantaggiose si sarebbero diffuse tra i gruppi arcaici che incontrava durante l'espansione attraverso l'ibridazione e questo intenso flusso genico avrebbe dato gradualmente origine a modifiche genetiche e anatomiche e quindi ai moderni caratteri.
Multiregionalismo africano. Gli uomini moderni si sarebbero sviluppati in Africa, non da un unico piccolo gruppo, ma da popolazioni presenti in diverse parti del continente 300.000 anni fa. Questi gruppi, separati da barriere geografiche, entravano occasionalmente in contatto fornendo ciascuna il proprio apporto genetico e da questo mosaico di tratti sarebbe derivato gradualmente l'uomo moderno che è uscito dall'Africa.
Per completezza aggiungiamo anche l'origine euroasiatica (Out of Eurasia), secondo la quale H. erectus asiatico sarebbe ritornato in Africa dove avrebbe dato origine a H. sapiens. A supporto di questa ipotesi ci sarebbero alcuni ritrovamenti archeologici euroasiatici e analisi delle combinazioni di varianti alleliche lungo un cromosoma.