L’Origine delle specie

Dopo l'annuncio alla Linnean Society del 1858, Darwin si dedicò sollecitamente alla stesura di un'opera più organica rispetto ai due precedenti abbozzi, alla quale aveva dedicato vent'anni di elaborazione. Finalmente, il 24 novembre 1859 viene stampata da John Murray a Londra, in 1250 copie, l'opera intitolata On the Origin of Species by means of Natural Selection or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life (Sull'origine delle specie per mezzo della selezione naturale ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l'esistenza).

L'opera è divisa in 14 capitoli (15 nell'ultima edizione). I primi capitoli ci presentano le osservazioni sulle variazioni delle specie allo stato domestico e naturale e sulla lotta per l'esistenza. Il quarto capitolo propone la sua teoria mediante meccanismo della selezione naturale, seguito da annotazioni sui punti critici. La restante parte del libro descrive come la teoria consenta di spiegare l'embriologia, la classificazione, la paleontologia e la distribuzione geografica.

Il testo ebbe sei edizioni (l'ultima è del 1872), rivedute tenendo conto delle critiche sollevate dai lettori e modificando su alcuni punti le proprie opinioni.
Tra le differenze che si riscontrano nelle edizioni successive alla prima, è da rimarcare la presenza di osservazioni di carattere religioso. Nell'ultimo paragrafo del testo, ad esempio, è stata aggiunta la parola "Creatore": «Vi ha certamente del grandioso in queste considerazioni sulla vita e sulle varie facoltà di essa, che furono in origine impresse [dal Creatore] in poche forme od anche in una sola; e nel pensare che, mentre il nostro pianeta si aggirò nella sua orbita, obbedendo alla legge immutabile della gravità, si svilupparono da un principio tanto semplice, e si sviluppano ancora infinite forme, vieppiù belle e meravigliose».
Non si tratta di un vero e proprio cambiamento di idee su Dio, piuttosto un tentativo di ammansire la moglie e l'opinione pubblica perché Darwin si riteneva agnostico: «Mi sono a lungo pentito di aver ceduto all'opinione pubblica, e di aver usato il termine pentateucale di creazione, con il quale intendevo in realtà dire "apparso" per qualche processo interamente ignoto» (Lettera a J. Hooker 29 marzo 1863).

L'interesse e lo scalpore tra gli scienziati, i teologi, gli intellettuali furono tali che la prima edizione fu esaurita il giorno stesso della pubblicazione. La ristampa corretta fu pubblicata nel gennaio del 1860 e su questa è stata tratta la prima traduzione italiana da G. Canestrini e L. Salimbeni nel 1864, pubblicata da Nicola Zanichelli.
«Credo che il successo dell'Origine si possa attribuire al fatto che già molto tempo prima avevo scritto due lavori molto compendiosi da cui avevo poi ricavato un manoscritto più ampio, che era di per se stesso un riassunto dell'Origine. [...] per molti anni avevo seguito l'ottima regola di annotare subito e senza fallo tutto ciò che era contrario ai risultati generali della mia teoria [...]. Per questa abitudine poche furono le obiezioni alla mia teoria che già non avessi considerato e a cui non avessi cercato di dare risposta» (Autobiografia - 1887).

L'idea di evoluzione non è una novità poiché molti concetti li troviamo già espressi in altri autori, come Lamarck. Il valore sta nell'avere individuato un meccanismo per spiegare l'evoluzione: la selezione naturale, ed essere riuscito a comporre una teoria organica servendosi di diverse discipline in modo armonico, coerente e ben fondato, tanto da essere difficilmente attaccabile.
La teoria dell'evoluzione creò più scompiglio di qualunque altra teoria precedente. Alcuni scienziato la accettarono con entusiasmo, mentre altri la criticarono, tuttavia gli avversari, non avendo argomentazioni per controbattere le affermazioni darwiniane, dovettero ricorrere spesso alla parodia o all'insulto.

 

caricatura di Darwin
Caricatura di Charles Darwin

 

Era uno scontro tra due mentalità: l'antica, legata a una visione del mondo ricavata da concezioni derivate dalla filosofia antica e da tradizioni religiose; la moderna, che scaturiva dalla ricerca scientifica, basata sull'osservazione dei fatti naturali e sull'esperienza.
In questo divenire del mondo, anche l'uomo viene a trovarsi sullo stesso piano degli animali, scendendo dal gradino più alto della scala della natura, ma non per questo il darwinismo ne ha sminuito il valore.
Oggi la teoria dell'evoluzione ha assunto un valore tale da poterla considerare il principio unificante della biologia.

 

La teoria della discendenza con modificazioni

Nell'ultima pagina del libro sono riassunti gli elementi della teoria di Darwin: «lo Sviluppo colla Riproduzione; l'Eredità che è quasi implicitamente compresa nella Riproduzione; la Variabilità derivante dall'azione diretta e indiretta delle condizioni esterne della vita e dall'uso o dal non uso; la legge di Moltiplicazione in una proporzione tanto forte da rendere necessaria una Lotta per l'Esistenza, dalla quale deriva l'Elezione naturale, la quale richiede la Divergenza del Carattere e l'Estinzione delle forme meno perfezionate. Così dalla guerra della natura, dalla carestia e dalla morte segue direttamente l'effetto più stupendo che possiamo concepire, cioè la produzione degli animali più elevati».

Darwin non usò mai il termine «evoluzione», che ai suoi tempi indicava lo sviluppo individuale, cioè la crescita dell'organismo; parlò invece di discendenza con modificazioni e usò il termine di sopravvivenza del più adatto solo nella sesta edizione, mutuandolo dal filosofo H. Spencer.

La teoria di Darwin si basa sui seguenti principi.

  1. Gli organismi generano organismi simili: «il simile produce il simile: questo è il loro assioma fondamentale», in altre parole, il processo di riproduzione è stabile.
  2. Le specie tendono a produrre un grande numero di discendenti che potrebbe non essere più in equilibrio con le risorse alimentari presenti nell'ambiente. Mentre le risorse alimentari, infatti, crescono in progressione aritmetica, le popolazioni naturali aumentano in progressione geometrica.

    crescita degli individui e delle risorse
  3. In ogni popolazione ci sono delle differenze tra i singoli individui, che non sono prodotte dall'ambiente ma sono preesistenti e del tutto casuali, e alcune di esse sono ereditabili: «Nessuno pensa che tutti gli individui della stessa specie siano proprio usciti dallo stesso stampo. Queste differenze individuali assumono per noi la massima importanza perché sono spesso ereditarie, come tutti sapranno, e perché forniscono il materiale su cui la selezione può agire, accumulandole; proprio allo stesso modo con cui l'uomo accumula, in una determinata direzione, le differenze individuali delle sue produzioni domestiche».
  4. Le risorse del mondo naturale sono limitate, perciò ci deve essere una lotta per la sopravvivenza tra la progenie - che si ripete ad ogni generazione - la quale opera una selezione naturale, in cui sopravvivono e generano una prole più numerosa solo quelli più adatti, cioè quelli che hanno ereditato i caratteri più vantaggiosi per la sopravvivenza in quel particolare ambiente, trasmettendo alla progenie le proprie caratteristiche; gli individui che, invece, non hanno caratteristiche vantaggiose per quell'ambiente, non riescono ad arrivare alla maturità sessuale: «si può affermare che in tempo di carestia due appartenenti alla famiglia dei canidi lottano tra loro per decidere chi prenderà il cibo e vivrà. Ma anche di una pianta ai margini del deserto si dice che lotta per la vita contro la siccità oppure di una pianta che produce annualmente un migliaio di semi, uno solo dei quali in media, giunge a maturazione, possiamo più giustamente dire che lotta con le piante della stessa specie o di altre specie che già rivestono il suolo». «La conservazione delle differenze e variazioni individuali favorevoli e la distruzione di quelle nocive sono state da me chiamate "selezione naturale" o "sopravvivenza del più adatto"».
  5. I caratteri favorevoli diventano sempre più frequenti di generazione in generazione, perciò ognuna sarà meglio adattata rispetto a quella precedente: dopo un periodo di tempo sufficientemente lungo, la selezione naturale porta a un graduale accumulo di cambiamenti tale da differenziare i gruppi di organismi, fino ad originare una nuova specie. «Siccome l'elezione naturale agisce soltanto accumulando delle variazioni piccole, successive e favorevoli, non può produrre modificazioni grandi od improvvise; essa non può operare che per gradi molto brevi e molto lenti. Perciò il canone Natura non facit saltum, che viene confermato da ogni nuova conquista della nostra scienza, s'intende facilmente secondo questa teoria». «Questa selezione conduce al perfezionamento di ogni essere vivente in relazione alle sue condizioni organiche ed inorganiche di vita e quindi, nella maggior parte dei casi, a ciò che può essere considerato un progresso nell'organizzazione. Tuttavia le forme inferiori e semplici potranno durare lungamente purché siano bene adattate alle loro semplici condizioni di vita».
  6. La selezione naturale induce anche alla divergenza dei caratteri, cioè le varietà di una specie tendono col tempo a trasformarsi in specie ben distinte se sono in grado di sfruttare risorse diverse nel medesimo territorio.

 

Così Darwin descrive i punti proposti sopra:
«Se in condizioni mutevoli di vita gli esseri viventi presentano differenze individuali in quasi ogni parte della loro struttura, e ciò non è discutibile; se a cagione del loro aumento numerico in progressione geometrica si determina una severa lotta per la vita in qualche età, stagione o anno, e ciò certamente non può essere discusso; allora, considerando la infinita complessità delle relazioni di tutti gli esseri viventi fra di loro e con le loro condizioni di vita, la quale fa sì che un'infinita diversità di struttura, costituzione e abitudini sia per essi vantaggiosa, sarebbe un fatto quanto mai straordinario che non avessero mai avuto luogo tante variazioni utili nell'uomo. Ma se mai si verificano variazioni utili a un qualsiasi essere vivente, sicuramente gli individui così caratterizzati avranno le migliori probabilità di conservarsi nella lotta per la vita; e per il saldo principio dell'eredità, essi tenderanno a produrre discendenti analogamente caratterizzati. Questo principio della conservazione, o sopravvivenza del più adatto, l'ho denominato selezione naturale. […] La selezione naturale conduce anche alla divergenza dei caratteri; infatti quanto più gli esseri viventi divergono nella struttura, nelle abitudini e nella costituzione, tanto più grande è il numero di essi che può trovar da vivere in un'area ? della qual cosa vediamo la dimostrazione osservando gli abitanti di una qualsiasi piccola zona, e le produzioni naturalizzate in terre straniere. Perciò durante la modificazione dei discendenti di una qualsiasi specie, e durante la lotta incessante di tutte le specie per aumentare il numero, quanto più differenziati divengono i discendenti, tanto maggiore sarà la loro probabilità di successo nella battaglia per la vita. Così le piccole differenze che distinguono le varietà della stessa specie tendono regolarmente ad aumentare, fino a uguagliare le più grandi differenze fra le specie dello stesso genere, o anche di generi distinti. […] In base a questi principî, si possono spiegare la natura delle affinità e le distinzioni, generalmente ben definite, fra gli innumerevoli esseri viventi di ogni classe in tutto il mondo».

 

Variabilità e selezione

Secondo Darwin, la variabilità tra individui che sono presenti in ogni popolazione naturale è dovuta al caso; non è prodotta né dall'ambiente, né da una "forza creatrice", né da un impulso inconscio dell'organismo, come riteneva Lamarck, né era guidata dalla provvidenza, come credeva Lyell e le variazioni non hanno lo stesso valore adattativo. «Io ho parlato talvolta delle variazioni, che sono tanto comuni e diverse negli organismi allo stato di coltura ed alquanto meno frequenti allo stato naturale, come se fossero prodotte dal caso. Questa espressione evidentemente non è corretta, ma serve a manifestare la nostra completa ignoranza intorno alle cause delle singole variazioni».
Sicuramente non dipende dalla selezione naturale: «Parecchi scrittori hanno frainteso e condannato questo termine "Elezione Naturale". Alcuni hanno immaginato che l'elezione naturale produca la variabilità, mentre essa implica, solamente il mantenimento di variazioni nate accidentalmente, quando siano vantaggiose agli individui nelle particolari loro condizioni di vita», ma «la variabilità è pure governata da molte leggi ignote, e particolarmente dalla legge di correlazione di sviluppo. Si può annettere qualche influenza all'azione diretta delle condizioni esterne della vita, come pure all'uso o al non uso degli organi».
Notiamo che Darwin recupera anche il principio lamarckiano dell'uso e non uso: «Gli occhi delle talpe e di parecchi altri roditori che scavano la terra sono rudimentali, e in alcuni casi sono completamente coperti dalla pelle e dal pelo. Probabilmente questo stato degli occhi deriva dalla diminuzione graduale prodotta dal non-uso ed anche coadiuvata forse dall'elezione naturale».

Le variazioni non hanno né fine prestabilito né direzione, né disegno intelligente da seguire e quindi non si può parlare di una tendenza necessaria verso il miglioramento in senso assoluto, ma esse possono essere più o meno utili a un organismo per procurarsi il cibo, per sfuggire a un predatore, per la riproduzione o per essere meglio adattati all'ambiente. È l'azione della selezione naturale su parecchie generazioni che dà la direzione all'evoluzione. Una variazione dovuta al caso che dia a un organismo un vantaggio, per quanto lieve, lo rende più idoneo a lasciare una progenie in grado di sopravvivere più facilmente. La selezione naturale agisce per mezzo della conservazione ed accumulo di variazioni utili alle quali l'organismo si trova esposto in quel determinato periodo. Il risultato finale sarà che ogni forma tende a divenire sempre più adatta in relazione alle sue condizioni di vita.

Occorre una precisazione per quanto riguarda il caso. I creazionisti ritengono che invocare il caso per ottenere degli organismi così perfetti e adattati è come pretendere di lanciare in aria una cassa piena di lettere dell'alfabeto e aspettarsi che, cadendo, formino la Divina Commedia, perciò ci deve essere un progetto, un disegno che porti alle forme viventi così come le conosciamo. C'è evidentemente un grosso equivoco: sono le variazioni ad essere casuali, nel senso c'è una causa (agenti mutageni o altro) ma non uno scopo; non si esclude perciò la dipendenza degli eventi dalle cause, ma si esclude una direzione privilegiata delle cause: gli eventi non sono al di fuori o contro le leggi causali; le variazioni compaiono non perché servono e poi la selezione naturale le filtra positivamente o negativamente: la selezione è l'opposto del caso.

Riprendendo l'esempio della giraffa di Lamarck, gli antenati di tale animale dovevano avere colli di varia lunghezza.
Quando cominciò a scarseggiare l'erba nella savana, un animale con un collo leggermente più lungo risultava favorito nel raggiungere le foglie sui rami degli alberi di acacia e perciò aveva maggiori probabilità di sopravvivere e lasciare più discendenti rispetto a un animale con un collo corto. Se il collo più lungo è un carattere ereditario, alcuni di questi discendenti avranno anch'essi il collo più lungo e, se questi individui sono avvantaggiati, la generazione successiva comprenderà più individui col collo lungo. Col tempo la popolazione originaria di giraffe con il collo corto diventerà una popolazione di giraffe con collo lungo, nonostante ci siano ancora delle variazioni nella lunghezza del collo.
«Che gli individui di una medesima specie diversifichino spesso leggermente tra loro nella relativa lunghezza di tutte le loro parti, ce lo insegnano molte opere di storia naturale, in cui siano indicate esatte misure. Queste leggere differenze proporzionali, dovute alle leggi di accrescimento e di variazione, non tornano di alcuno o di insignificante vantaggio al maggior numero delle specie. Ma nella giraffa in via di formazione le cose saranno passate altrimenti in dipendenza dalle probabili di lei abitudini di vita, giacché generalmente saranno rimasti in vita quegli individui che presentavano un allungamento oltre l'ordinario in una od in parecchie parti del corpo. Questi si saranno incrociati ed avranno lasciato dei discendenti che avranno ereditata la stessa particolarità corporea, ossia la tendenza di variare nello stesso modo, mentre gli individui meno favoriti per tale riguardo saranno stati maggiormente soggetti alla estinzione».

 

giraffe secondo Darwin.gif

 

Riassumendo, la concezione darwiniana contempla contemporaneamente una casualità e una causalità:

  • il caso determina la presenza di organismi diversi per caratteristiche morfologiche, comportamentali ecc. all'interno della popolazione;
  • la selezione naturale agisce provocando la sopravvivenza degli individui più adatti in quel determinato ambiente e in un preciso momento.

 

Divergenza dei caratteri

«Il principio da me designato con questo termine è di una grande importanza, e spiega, a mio avviso, parecchi fatti rilevanti. In primo luogo le varietà, anche le più marcate, sebbene abbiano alcun che del carattere delle specie, per modo che riesce in molti casi assai difficile il classificarle, pure differiscono fra loro assai meno delle specie ben distinte. Nondimeno, secondo le mie viste, le varietà sono specie in formazione, oppure, come dissi, sono specie incipienti. Come dunque le differenze minori fra le varietà possono aumentare fino a divenire le differenze più grandi che esistono fra le specie? Che ciò debba ordinariamente avvenire, noi lo desumiamo dal numero considerevole di specie che la natura ci presenta, con differenze ben distinte; mentre le varietà, supposte prototipi o progenitori delle future specie distinte, presentano piccole differenze e mal definite».

La domanda che Darwin si pone è: come fanno le varietà, da lui definite specie incipienti, a salire di grado nella scala tassonomica diventando vere e proprie specie e da qui, progressivamente, a generi, famiglie, ecc.?
La risposta non può essere il solo caso perciò, ancora una volta, ricorre all'analogia con gli animali domestici.
Gli allevatori tendono generalmente a selezionare le forme estreme di alcuni caratteri così, alcuni preferiscono favorire cavalli agili e veloci mentre altri scelgono di selezionare quelli più robusti e pesanti per i lavori di fatica. Dopo molte generazioni si sono accumulate tante differenze che le semplici varietà sono diventate vere e proprie razze permanenti, mentre le forme intermedie sono state trascurate dagli allevatori fino a scomparire.
Lo stesso processo di divergenza dei caratteri si attua con maggiore efficacia in natura. In un territorio, quando le risorse sono al limite della capacità di sostentamento, la selezione favorisce quella varietà di una specie che differiscono per la modalità di procurarsi le risorse. Dopo moltissime generazioni le varietà maggiormente differenziate di una specie hanno la maggiore probabilità di succedere e di accrescersi numericamente e, quando queste varietà saranno assai diverse, assumeranno il rango di specie, ciascuna specializzata per sfruttare una particolare risorsa. In questo modo, una piccola area può ospitare contemporaneamente molte specie affini. Quanto più le varietà divergono dalla specie originale, tanto più hanno la possibilità di essere selezionate positivamente andando a occupare un maggior numero di posti (che oggi definiamo nicchie ecologiche, cioè le funzioni che un organismo svolge in un determinato ambiente), a scapito delle forme intermedie, che sono destinate a scomparire, senza che vi sia variazione delle condizioni ambientali e delle risorse.

 

Estinzione

La selezione naturale, oltre alla divergenza dei caratteri, porta all'estinzione delle specie.
Lamarck, in opposizione a Cuvier, riteneva che le "specie perdute" non esistessero: si sarebbero trasformate o sarebbero migrate in zone inesplorate; Cuvier, al contrario, pensava che le specie si fossero estinte a causa di catastrofi naturali. Darwin scrive: «siccome nel corso dei tempi hanno origine nuove specie per mezzo della elezione naturale, le altre specie si faranno sempre più scarse e in fine si estingueranno. Quelle forme che sostengono una lotta molto forte contro altre soggette a modificazioni e perfezionamenti, naturalmente soffriranno di più. [...] Conseguentemente, ogni varietà o specie nuova, durante il progresso della sua formazione, deve combattere principalmente colle razze più affini e cercare di esterminarle».
«Tutte le forme intermedie fra le primitive e le più recenti, cioè fra lo stato meno perfetto e quello più perfetto di una specie, non altrimenti che la stessa madre-specie originale, tenderanno in generale ad estinguersi. Probabilmente ciò avviene anche di molte linee collaterali di discendenti che rimarranno vinte da classi più recenti e più perfette. Tuttavia se la posterità modificata di una specie occupa qualche distinta regione, e diviene presto atta a sopportare un soggiorno affatto nuovo, nel quale gli antenati e la prole non entrano in lotta fra loro, potranno entrambi continuare ad esistervi» Un animale come l'ornitorinco, ad esempio, è riuscito a sopravvivere solo perché isolato e al riparo della lotta per l'esistenza.

 

L'albero della vita

albero della vita

Effetti dell'elezione naturale sui discendenti di un comune progenitore per la divergenza dei caratteri e l'estinzione delle specie. I livelli da I a XIV rappresentano le epoche, le lettere maiuscole A-L corrispondono a 11 specie di cui alcune presentano forme divergenti esistenti in diverse epoche; fra queste forme divergenti, solo poche, le più adatte a sopravvivere, assicurano la continuità della specie nel tempo mentre le altre si estinguono.

 

«Supponiamo che le lettere da A a L rappresentino le specie di un genere largamente rappresentato nel suo proprio paese; si suppone che queste specie si assomiglino fra di loro in modo disuguale, come generalmente avviene in natura, e come è rappresentato nel diagramma dalle lettere poste a distanze disuguali. [...] Sia A una specie comune, molto diffusa, e variante, appartenente ad un genere ricco nel suo paese. Le linee punteggiate, ramificate e divergenti, di lunghezza ineguale, procedendo da A, possono rappresentare la sua discendenza variante. Le variazioni si suppongono estremamente lievi, ma della natura più differenziata; si suppone che esse non compaiano simultaneamente, ma sovente dopo lunghi intervalli di tempo; e si suppone che esse non perdurino per periodi uguali. Soltanto quelle variazioni che in qualche modo sono utili saranno conservate o naturalmente selezionate. E qui appare l'importanza del principio del vantaggio derivato dalla divergenza dei caratteri; poiché ciò generalmente conduce alle più differenti o divergenti variazioni (rappresentate dalle linee punteggiate esterne) che sono conservate e accumulate dalla selezione naturale. Quando una linea punteggiata incontra una delle linee orizzontali, e il punto d'incontro è indicato da una lettera minuscola numerata, si suppone che una somma di variazioni si sia accumulata fino a formare una varietà assai ben marcata, tanto da esser ritenuta degna di essere registrata in un'opera di sistematica. Gli intervalli fra le linee orizzontali nel diagramma possono rappresentare ciascuno mille o più generazioni. Dopo un migliaio di generazioni, la specie (A) si suppone abbia prodotto due varietà assai ben marcate, cioè al e m'. Queste due varietà rimarranno generalmente esposte alle stesse condizioni che hanno reso variabili i loro progenitori; e la tendenza alla variabilità è di per sé stessa ereditaria».

Con questo grafico, Darwin ha voluto dimostrare che l'evoluzione non procede in modo lineare, perciò la scala naturae aristotelica andava sostituita con l'albero della vita. Dalle specie più antiche, poste alla base, si formano ramificazioni rappresentanti le nuove specie: «Tutti gli animali e tutte le piante, in ogni tempo e luogo, siano in rapporti scambievoli, formando gruppi subordinati ad altri gruppi, come noi osserviamo in ogni luogo; [...] I gruppi subordinati in ogni classe non possono disporsi in una sola linea, ma piuttosto sembrano raccolti intorno a diversi punti, e questi intorno ad altri, e così via via in cicli quasi infiniti. [...] Le affinità di tutti gli esseri di una stessa classe vennero talvolta rappresentate con la figura di un grande albero. Io credo che questa similitudine esprima esattamente la verità. I germogli verdi che producono gemme possono raffigurare le specie esistenti, e quelli che furono prodotti in ogni annata precedente possono rappresentare la lunga successione delle specie estinte. Ad ogni periodo di vegetazione tutti i germogli hanno tentato di estendersi da ogni parte e di sorpassare e distruggere i germogli e i rami vicini: nella stessa guisa che le specie e i gruppi delle specie cercarono di dominare le altre specie nella grande battaglia della vita. [...] Dal primo svilupparsi dell'albero molti rami si disseccarono e caddero; questi rami perduti in diversi punti rappresentano tutti quegli ordini, quelle famiglie e quei generi che oggi non esistono, ma che sappiamo furono trovati in uno stato fossile».

Le specie si sono originate, dunque, attraverso un processo di discendenza con variazione che implica anche che gli organismi correlati hanno origine da un antenato comune nel lontano passato. Le specie più antiche dovevano essere più semplici e con caratteri meno specifici delle forme attuali per cui la selezione naturale le ha progressivamente eliminate.
La discendenza comune è provata, secondo Darwin, dai caratteri non adattativi perché quelli adattativi producono somiglianze anche fra organismi non imparentati, qualora vivano nel medesimo ambiente. I caratteri analogici o adattativi sono delle somiglianze esteriori che possono ingannare: «Si potrebbe pensare (e si pensava un tempo) che quelle parti della struttura che determinarono le abitudini di vita e il posto generale di ogni essere nell'economia della natura debbano avere grande importanza nella classificazione. Niente di più falso. Nessuno considera di qualche importanza la somiglianza esterna di un topo con un toporagno; di un dugongo con una balena, di una balena con un pesce».
Al contrario, la persistenza di caratteri non adattativi, come gli organi vestigiali o rudimentali, le somiglianze embriologiche, le varie omologie, dimostra che sono stati ereditati da un antenato comune e rivelano reali affinità genealogiche.

 

Distribuzione geografica

Gli organismi viventi hanno una distribuzione nel tempo e nello spazio. Il rapporto tra le specie fossili e quelle attuali riflette in qualche maniera quello tra le specie che hanno una distribuzione geografica diversa.

Darwin aveva osservato che i fossili presentano strutture anatomiche analoghe alle specie attualmente viventi nella medesima area, mentre si aspettava che fossero simili a quelli europei che vivevano nei medesimi ambienti: i carnivori fossili sudamericani assomigliano agli erbivori sudamericani, ma sono diversi dai carnivori europei. In Patagonia Darwin trovò lo scheletro di un armadillo simile a quello attuale, ma molto più grande. Scoprì anche un gigantesco mammifero, il Megatherium, simile al bradipo moderno e, in seguito, resti di molti altri animali analoghi alle forme oggi viventi in Sudamerica. Questo indicava che permaneva un "Tipo" comune a specie diverse e separate cronologicamente tra loro. «Per unità di tipo si intende quella fondamentale somiglianza di struttura, che noi vediamo negli esseri organici di una medesima classe, e che è affatto indipendente dalle loro abitudini di vita. Seguendo la mia dottrina, l'unità di tipo viene spiegata dalla unità di discendenza».

 

Per quanto riguarda la distribuzione delle specie sulla superficie del globo, Darwin evidenzia questi tre aspetti.

  1. La distribuzione delle specie non è determinata dalle condizioni fisiche del luogo: «La somiglianza o la diversità degli abitanti delle varie regioni non può attribuirsi alle loro condizioni climatologiche, né ad altre condizioni fisiche».
  2. La distribuzione delle specie è favorita o ostacolata dalla distribuzione geografica: «Le barriere d'ogni sorta e gli ostacoli alla libera migrazione sono in rapporti stretti ed importanti colle differenze fra le produzioni delle varie regioni».
  3. Esiste sempre un'affinità fra gli organismi di uno stesso continente o di uno stesso mare: «L'affinità delle produzioni del medesimo continente o di uno stesso mare, quantunque le specie siano distinte nei loro vari punti e nelle loro varie stazioni». Le forme di vita nei diversi continenti sono, invece, assai dissimili.

 

La somiglianza di individui della stessa specie che si trovino territorialmente molto lontani è giustificabile dal fatto che devono essere partiti da un unico luogo, cioè quello in cui hanno avuto origine i loro genitori, perché è impossibile che si siano formati, mediante la selezione naturale, da genitori diversi.

Al contrario, la differenza tra specie distinte ma affini in territori vicini che si sostituiscono l'una con l'altra è un esempio della differenziazione geografica e dell'esclusione reciproca delle specie per divergenza. È il caso del grosso uccello non volatore, il nandù, appartenente al genere Rhea, di cui esistono due specie simili ma distinte in aree vicine. La dissomiglianza è dovuta alla selezione naturale che, a causa della concorrenza tra forme affini per contendersi le stesse risorse, favorisce la diversità e la specializzazione per lo sfruttamento di tali risorse. In misura inferiore la dissomiglianza è dovuta all'ambiente fisico. Il Rhea, però, non ha alcuna affinità con lo struzzo africano e l'emù australiano.

Le barriere geografiche rivestono una grande importanza nella distribuzione delle specie poiché rappresentano un impedimento alla migrazione, almeno quanto il trascorrere del tempo, per produrre modificazioni mediante la selezione.
Le testuggini giganti, le iguane marine e terrestri, i vari tipi di uccelli e di piante che si trovano nelle Galápagos hanno probabilmente avuto origine da un piccolo gruppo che vi è giunto dal continente americano con mezzi di fortuna quando queste isole sono emerse dal mare profondo per sollevamenti geologici. Queste specie, molto simili ma distinte, si trovano in isole molto vicine aventi il medesimo clima, e sono strettamente affini ad altre specie che vivono in regioni americane con clima completamente diverso.
Questi piccoli gruppi appena giunti è improbabile che fossero perfettamente adattati al nuovo ambiente come lo erano nel loro habitat nativo e, trovandosi in un'area isolata, hanno dovuto competere con altre specie ivi presenti. Se nella popolazione compare un individuo con una struttura che gli consente di sfruttare meglio le risorse, darà origine, nel corso delle generazioni, a una discendenza modificata che soppianterà la forma parentale.
Tuttavia, perché fra le isole, che sono molto vicine, hanno lo stesso clima, la stessa geologia, la stessa altezza ecc., le specie che vi sono immigrate presentano modiche così diverse, anche se piccole? L'errore sta nel considerare le condizioni fisiche di un luogo come le più importanti per gli organismi. Darwin ritiene, invece, che siano preponderanti le relazioni che le specie instaurano come le altre già presenti sul territorio e se una specie ha un vantaggio sull'altra per lo sfruttamento delle risorse specifiche di ciascuna isola, la sostituirà oppure, se sono entrambe bene adattate, esse si conserveranno separate. Questo spiega perché i "fringuelli di Darwin" siano più simili a quelli dell'America, anche se il clima è diverso, che non a quelli delle isole vulcaniche africane, che hanno clima simile, che invece somigliano a quelle dell'Africa, e spiega anche perché le specie siano simili ma distinte per ciascuna isola.
La mancata diffusione di una specie nelle isole vicine si spiega col fatto che esse sono in realtà divise da un mare profondo, da forti correnti marine, venti deboli ecc. che le rende più distanti di quanto appaia dalla carta geografica.

 

Altri fattori intervengono nel processo evolutivo, oltre alla selezione naturale. Scrive Darwin nella sesta e ultima edizione dell'Origine delle Specie (1872): «Sembra che io abbia in precedenza sottovalutato la frequenza e il valore di queste ultime forme di variazione, come conducenti a permanenti modificazioni della struttura indipendentemente dalla selezione naturale. Ma poiché le mie conclusioni sono state di recente molto travisate, e si è affermato che io attribuisco la modificazione delle specie esclusivamente alla selezione naturale, mi si permetterà di far notare che nella prima edizione di quest'opera e successivamente ho posto nella posizione più evidente - cioè alla fine dell'introduzione – le seguenti parole: "Sono convinto che la selezione naturale è stata il più importante, ma non l'esclusivo mezzo della modificazione". Ciò non ha valso. Grande è il potere di un'interpretazione pertinacemente erronea; ma la storia della scienza dimostra che fortunatamente tale forza non persiste a lungo».

Esistono dunque altri processi che operano nell'evoluzione e gli organismi possono presentare anche alcune caratteristiche non adattative.

 

Selezione sessuale

La selezione sessuale, fattore criticato da Wallace, consiste nella lotta per la riproduzione tra individui dello stesso sesso (spesso maschi), appartenenti alla medesima specie. Gli individui che possiedono caratteri sessuali secondari in grado di attirare il partner di sesso opposto (competizione indiretta ovvero la scelta del partner da parte delle femmine) oppure di sconfiggere quelli con cui è in competizione (competizione diretta, cioè lotta tra maschi per l'accesso alle femmine), consentiranno la riproduzione e la successiva trasmissione di tali caratteri alla prole. Ciò spiega la conservazione di elementi considerati non essenziali, inutili, abnormi, o addirittura in apparente contrasto con la sopravvivenza, come la coda del pavone o l'imponente palco del cervo europeo. Giustifica anche il piumaggio poco appariscente delle femmine di molti uccelli, che le rende meno individuabili dai predatori, soprattutto durante la cova.
La selezione sessuale risponde anche alle critiche di quelli che vedono nella bellezza della natura un disegno divino, non spiegabile in termini naturali.
Il concetto di selezione sessuale si trova ampiamente trattato (due terzi del testo) ne L'origine dell'Uomo e la selezione sessuale.

 

Correlazione di crescita

La correlazione di crescita (o di sviluppo) consiste nella trasformazione non adattativa, e a volte svantaggiosa, di una parte dell'organismo in conseguenza della modifica adattativa di un'altra parte. Darwin porta questo esempio: «Alcuni fatti di correlazione sembrano puramente capricciosi: come quelli che i gatti affatto bianchi cogli occhi turchini siano generalmente sordi».
Noto è il caso del panda. Questo grazioso animale ha le zampe anteriori con sei dita, una delle quali simile al pollice opponibile, atte a scortecciare le canne di bambù. In realtà, questo "pollice" è un osso del polso (sesamoide radiale) che si è ingrandito. La selezione ha premiato quegli individui che presentavano tale ingrandimento, fino a fargli raggiungere le dimensioni che attualmente la specie possiede: è un caso di selezione adattativa. Contemporaneamente allo sviluppo di quest'osso, si ha un ingrandimento anche del sesamoide della tibia, senza che ciò comporti un vantaggio. Oggi abbiamo una spiegazione genetica, ma un tempo poteva apparire un fatto bizzarro. Questo è anche un esempio in cui un organo svolge una funzione diversa rispetto a quella per cui si è formato. La Natura ha saputo sfruttare una parte già esistente, senza aspettare che compaia una variazione adatta per quello scopo.

 

Preadattamento o cooptazione funzionale

Abbiamo appena visto come nel panda un osso abbia acquisito una nuova funzione pur mantenendo anche quella originaria. Si parla di preadattamento (cooptazione funzionale) o, in termini moderni di exaptation, quando un organo adattato in origine dalla selezione naturale a un preciso scopo, nel tempo è selezionato per essere cooptato per uno scopo diverso. La selezione agisce sempre da materiale preesistente e, anche se prevale sempre il principio di utilità, esso viene riadattato per nuove funzioni.
«Alcuni organi, che ora sono di poca importanza, furono probabilmente in certi casi molto utili ad un antico progenitore; e dopo di essere stati lentamente perfezionati nei tempi primitivi, furono trasmessi alla prole quasi nel medesimo stato, benché fossero divenuti di pochissima utilità; e tutte le variazioni attualmente nocive nella loro struttura, saranno state sempre impedite dalla elezione naturale». «Ma le strutture così indirettamente acquisite, benché a tutta prima non vantaggiose a una specie, possono in seguito essere utilizzate dai suoi discendenti modificati, in nuove condizioni di vita e con nuove abitudini acquisite».

Esiste anche la possibilità che una caratteristica compaia e si mantenga non perché adattativa ma come conseguenza delle correlazioni di crescita e da variazioni che non sono né utili né dannose e che viene cooptata per l'uso corrente.
«Le suture nel cranio dei giovani mammiferi sono state prospettate come un bell'adattamento per facilitare il parto, e senza dubbio esse l'agevolano, o possono essere indispensabili per quest'atto; ma poiché le suture si riscontrano anche nel cranio di giovani uccelli e rettili, che hanno soltanto da uscire da un uovo rotto, possiamo inferire che questa struttura è sorta dalle leggi della crescita ed è stata utilizzata per il parto negli animali superiori».

Un altro classico caso di preadattamento è quello delle piume degli uccelli, che derivano dalla trasformazione vantaggiosa delle squame probabilmente per la termoregolazione, sono diventate prima un carattere sessuale secondario per attirare il partner e/o per mimetizzarsi e poi uno strumento per il volo. I primi voli all'inizio erano poco più che balzi e brevi planate, finalizzati all'inseguimento di prede o alla fuga da predatori. Una volta che il volo è divenuto un vantaggio di per sé, la selezione naturale può aver rimodellato le penne e le ali, in modo da renderle adatte alla loro nuova funzione.
Anche il labello delle orchidee, che spesso assomiglia all'insetto impollinatore deriva dalla trasformazione di una parte preesistente, che originariamente svolgeva un'altra funzione.
«I rilievi precedenti mi conducono a dire qualche parola della protesta, ultimamente fatta da qualche naturalista, contro la dottrina utilitaria, secondo la quale ogni dettaglio di struttura fu prodotto per il bene del suo possessore. Essi credono che moltissimi organismi siano stati creati per la loro bellezza, per appagare gli occhi dell'uomo o il creatore (ma questa ultima idea è fuori dei limiti di una discussione scientifica), o per mera varietà. Se questa dottrina fosse vera, sarebbe assolutamente fatale per la mia teoria. Nondimeno io consento pienamente che molte strutture non sono direttamente vantaggiose all'individuo che le possiede, e forse non lo furono nemmeno ai suoi progenitori; ma ciò non prova che siano state formate per sola bellezza o varietà. L'azione definita delle cambiate condizioni di vita e le varie cause modificatrici sopra accennate avranno certamente prodotto un effetto, e probabilmente un grande effetto, indipendentemente da un vantaggio guadagnato. Ma la considerazione più importante è, che la parte principale della organizzazione di ogni essere deriva semplicemente dalla eredità; e quindi, benché ogni essere sia certamente bene stabilito nel suo posto naturale, molte strutture non hanno presentemente alcuna relazione diretta colle abitudini di vita delle specie attuali».

 

Difficoltà della teoria

«Anche prima di giungere a questo punto della mia opera, molte difficoltà si saranno affollate nella mente del lettore. Alcune di esse sono tanto serie, che fin qui non potei riflettervi senza rimanere colpito dalla loro importanza; ma per quanto so giudicarne, in gran parte sono soltanto apparenti, e quelle che sono fondate non sono, a mio avviso, fatali alla mia teoria».
È molto strano trovare anticipatamente in un testo le eventuali critiche alla teoria ma Darwin afferma: «io credo che la discussione abbia sparso qualche luce sopra diversi fatti i quali rimangono completamente oscuri secondo la dottrina degli atti indipendenti di creazione».
Citiamo qualche esempio.

 

La prima difficoltà riguarda la frammentarietà delle testimonianze fossili cioè l'assenza dei cosiddetti "anelli mancanti".
«Se dietro questa teoria debbono essere esistite innumerevoli forme transitorie, perché non le troviamo noi sepolte nella crosta del globo in un numero indefinito?».
Ci sono diverse ragioni per spiegare tale fenomeno.
Alcune forme intermedie sono effettivamente osservabili su specie affini abitanti in territori limitrofi, in quanto hanno un antenato in comune, ma in gran parte non le troviamo perché sono state sostituite da forme più recenti. Una forma intermedia, poiché è meno adattata all'ambiente, lascia scarsa discendenza rispetto a una più recente. Inoltre, non esistono forme intermedie tra due specie ben definite, ma fra ciascuna specie e l'antenato comune da cui derivano per divergenza: se le specie X e Y derivano da A, non si trovano gli intermedi tra X e Y, ma tra X e A e tra Y e A e questo perché la vita non si sviluppa lungo una scala ma lungo le ramificazioni di un albero. Più che anelli mancanti, sono i rami a essere mancanti. Il fatto più rimarchevole è che a essere veramente lacunosa è la documentazione paleontologica e geologica: «le nostre collezioni paleontologiche sono imperfette» e «I documenti geologici sono incomparabilmente meno completi di quanto generalmente si suppone». Non si dimentichi che solo una minima area della superficie terrestre è stata accuratamente esplorata.

 

Un secondo problema riguarda gli organi perfetti e specializzati e come la selezione naturale possa spiegare gli stadi incipienti di questi organi: «Io confesso liberamente che mi pare il più alto assurdo possibile supporre che l'occhio sia stato formato per mezzo dell'elezione naturale, con tutte le sue inimitabili disposizioni ad aggiustare il suo fuoco alle varie distanze, ad ammettere diverse quantità di luce e a correggere l'aberrazione sferica e cromatica. Quando si proclamò per la prima volta che il sole è immobile e che la terra gira intorno ad esso, il senso comune degli uomini dichiarò falsa questa dottrina; ma la vecchia sentenza Vox populi vox Dei, come ogni filosofo sa, non può sostenersi nella scienza».
La spiegazione che Darwin fornisce è chiara: «La ragione mi indica che, se può dimostrarsi che esistano numerose gradazioni dall'occhio perfetto e complesso all'occhio più semplice ed imperfetto, e che ogni grado di tale perfezionamento sia utile all'individuo; se di più l'occhio deve variare, sia pure insensibilmente, e le variazioni sono trasmesse per eredità, come appunto si verifica; e se infine ogni variazione o modificazione di un organo, sotto condizioni mutabili di vita, è sempre utile all'animale; allora la difficoltà di ammettere che un occhio perfetto e complesso possa formarsi per elezione naturale, quantunque insuperabile alla nostra immaginazione, può vincersi e questa ipotesi può ritenersi vera», tuttavia, «come possa un nervo divenire sensibile alla luce è una questione che non ci spetta più di quella dell'origine della nostra vita».

 

Per quanto riguarda gli organi apparentemente inutili, Darwin scrive: «Siccome la elezione naturale agisce per la vita e per la morte, col preservare gli individui in cui si avveri qualche variazione favorevole, e col distruggere quelli che presentano variazioni di struttura sfavorevoli, io trovai talvolta molta difficoltà a concepire l'origine di quelle parti semplici che non pare abbiano una sufficiente importanza per cagionare la conservazione degli individui che successivamente variarono».
Ad esempio, la coda della giraffa, che assomiglia a uno scacciamosche, sembra impossibile che derivi da piccole successive modificazioni per uno scopo così secondario.
Questa è la soluzione proposta: «Alcuni organi, che ora sono di poca importanza, furono probabilmente in certi casi molto utili ad un antico progenitore; e dopo di essere stati lentamente perfezionati nei tempi primitivi, furono trasmessi alla prole quasi nel medesimo stato, benché fossero divenuti di pochissima utilità; e tutte le variazioni attualmente nocive nella loro struttura, saranno state sempre impedite dalla elezione naturale».

 

Dopo l'Origine

Darwin scrisse numerosi testi dopo l'Origine delle specie, tra i quali ricordiamo: The Variation of Animals and Plants under Domestication (1868), The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex (1871) e The Expression of Emotions in Man and Animals (1872), nei quali sono sviluppati i temi che erano stati appena accennati nell'Origine.

Il saggio sull'Origine dell'uomo fece ancora più scalpore del precedente perché formulò l'idea che anche l'uomo è soggetto di evoluzione come gli altri animali e rifiuta per esso l'idea di una creazione particolare. Di questo argomento ne parleremo in un'altra sezione.

Molto importanti sono anche i lavori di botanica, in particolare un saggio Sulla fecondazione delle Orchidee per opera degli Insetti (1862), poiché egli riteneva che lo studio delle piante potesse aiutarlo nella comprensione degli animali, dal momento che tutti gli organismi sono tra loro imparentati.
Darwin anzianoDi grande rilievo è anche lo studio dei Cirripedi, ai quali ha dedicato otto anni di lavoro, a partire dal 1846, culminato con la pubblicazione di due volumi.
Dello stesso periodo è anche la pubblicazione di due volumi di geologia.

Le opere di Charles Darwin furono molto apprezzate dalla comunità scientifica.
Nel 1839 divenne membro della Royal Society e da questa ricevette nel 1853 la Royal Medal per gli studi sui Cirripedi e per le opere di geologia; nel 1857 entrò a far parte della Deutsche Akademie der Naturforscher; nel 1870 fu nominato socio d'onore della Società Geografica Italiana; nel 1878 entrò nell'Académie des Sciences francese.
Charles Darwin morì a Down, il 19 aprile del 1882, a 73 anni, ricevette funerali di stato e fu sepolto nell'Abbazia di Westminster.

 

I punti deboli della teoria

La teoria che Darwin aveva elaborato era sostenuta da molte evidenze, ma aveva alcuni punti deboli, ammessi dallo stesso Darwin.

La teoria dell'evoluzione non era in grado di spiegare come si generasse la variabilità individuale su cui agisce la selezione naturale. Come può nascere una giraffa dal collo lungo da una giraffa dal collo corto? «La variabilità è governata da molte leggi ignote».

La teoria non forniva un meccanismo che spiegasse l'ereditarietà. «Le leggi della trasmissibilità dei caratteri sono completamente ignote. Nessuno può dire per quale ragione una particolarità verificatasi nei diversi individui qualche volta si erediti e qualche altra volta non si erediti; perché un carattere particolare si trasmetta da uno a due sessi, o si limiti sempre allo stesso sesso».
Nel corso delle edizioni successive dell'Origine delle specie Darwin arrivò gradualmente ad ammettere la possibilità che l'ambiente potesse stimolare negli organismi viventi alcune modificazioni, acquisite dai singoli individui nel corso della vita, suscettibili di essere trasmesse per via ereditaria, soprattutto per quanto riguarda gli istinti e il comportamento degli animali.

Per risolvere il problema della variabilità e della trasmissione, Darwin nella prima edizione dell'Origine scrive: «quando una tendenza si manifesta per la prima volta, la selezione continua e gli effetti ereditari dell'uso degli organi sulle successive generazioni completano in fretta l'opera», riprendendo il principio lamarckiano dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti attraverso l'uso e il disuso degli organi. Questo principio ha tuttavia un rilievo minore nell'Origine rispetto ai due saggi preliminari e assume un ruolo diverso perché non è più visto come fonte di variabilità sulla quale agirà la selezione naturale, ma un fattore evolutivo indipendente che collabora con la selezione.

In seguito elaborò il modello della pangenesi, secondo il quale delle piccole particelle, chiamate "gemmule", dopo aver raccolto i caratteri acquisiti in vita dall'organismo, confluiscono da tutto il corpo dei genitori verso gli organi sessuali, per essere successivamente trasmesse ai figli durante la riproduzione. Poiché le gemmule derivano indirettamente anche dagli antenati, si spiegherebbe come ricompaiano delle caratteristiche che erano scomparse nei genitori.
La teoria, non supportata da alcuna prova, venne presto confutata dal cugino di Darwin, Francis Galton e Darwin fu costretto ad abbandonarla. «Nel secondo volume [de La variazione degli animali e delle piante allo stato domestico] sono discusse le cause e le leggi della variazione, dell'eredità, ecc., sulla base delle nostre attuali conoscenze. Verso la fine del libro presento la mia denigrata ipotesi della pangenesi. Un'ipotesi non verificata ha un valore scarso e nullo, ma se in futuro qualcuno sarà condotto a fare osservazioni che possano dar fondamento a qualche ipotesi del genere, la mia opera non sarà stata inutile, perché un'enorme quantità di fatti isolati potranno essere l'un l'altro collegati e diventeranno comprensibili» (Autobiografia - 1887).

La teoria non spiegava perché i caratteri ereditari non si mescolano, ma possono scomparire e ricomparire nelle generazioni successive. Secondo le conoscenze dell'epoca, i caratteri dei genitori si mescolano sempre quando vengono trasmessi ai figli e questo porterebbe alla progressiva diluizione delle varianti favorevoli, uniformando la popolazione su individui intermedi, fino alla scomparsa di tali varianti. In questo modo la selezione verrebbe privata del materiale su cui agire.

Purtroppo Darwin, pur essendo contemporaneo di Gregor Mendel (1822 - 1884), non conobbe le esperienze di genetica svolte sulle piante e non poté approfittarne per risolvere i suoi interrogativi. In verità, Mendel aveva inviato una copia della sua pubblicazione a Darwin, che tuttavia non lesse, come risulta dalle pagine ancora intonse. Mendel, invece, lesse l'Origine delle specie e vi fece anche delle annotazioni (tuttora esistenti nella sua copia), ma su aspetti marginali, senza mostrare una piena comprensione della portata della teoria evolutiva.

 

Confronto tra le teorie di Darwin e di Lamarck

Le teorie di Darwin e di Lamarck affermano entrambe che gli organismi si trasformano gradualmente, cioè si adattano, in risposta alle modifiche ambientali, ma la teoria di Lamarck serviva a spiegare gli adattamenti, mentre quella di Darwin per spiegare la successione delle forme e l'attuale distribuzione geografica delle specie.

La modalità con cui avviene la trasformazione delle specie è spiegata in modo diverso: fattori interni per Lamarck e fattori esterni per Darwin.
Secondo Lamarck, le variazioni compaiono dopo un cambiamento ambientale per soddisfare il bisogno di adattarsi a tale cambiamento: sono progressive, adattative e orientate.
Nella teoria di Darwin, invece, le variazioni esistono prima, indipendentemente dall'ambiente e non come risposta alle condizioni ambientali, poi interviene la selezione naturale che fa sopravvivere e riprodurre gli individui che hanno variazioni più adatte al nuovo ambiente: non sono progressive, non sono sempre adattative e sono casuali.

La selezione sessuale in Lamarck e uno strumento per eliminare variazioni comparse accidentalmente che siano proprie di un sesso solo. Per Darwin la selezione sessuale è causa di trasformazione.

In Darwin l'isolamento geografico e il mutamento delle condizioni fisiche non sono più le cause necessarie della trasformazione delle specie poiché è un processo sempre in atto.
In Lamarck, invece, per la trasformazione è indispensabile un cambiamento ambientale.