Un fossile è il resto di un animale, di una pianta o una traccia prodotta da un organismo che noi possiamo rinvenire conservata da un processo di fossilizzazione.
Il termine fossile deriva dal latino fodere, che significa scavare, ed è stato proposto per la prima volta da Agricola (Georg Bauer, 1494 - 1555) per indicare tutto ciò che era sepolto nel sottosuolo, compresi i minerali, le rocce e i resti di animali e piante.
La scienza che studia le forme viventi del passato e dei loro ambienti è la paleontologia (discorso sugli esseri antichi), termine ufficialmente introdotto nel 1830 da Fischer von Waldheim, ma creato nel 1825 da Ducrotay de Blainville.
La tafonomia, scienza del seppellimento, si occupa, invece, di ciò che avviene agli organismi dalla morte fino alla completa fossilizzazione.
I fossili erano già conosciuti nella preistoria, come dimostrano i ritrovamenti di collane composte da conchiglie fossili in varie stazioni paleolitiche europee.
Il primo a riconoscere la vera natura dei fossili è stato Senofane di Colofone (570 a.C - 475 a.C.): «nella terra ferma e nei monti si trovano conchiglie, a Siracusa, nelle latomie, si sono trovate impronte di pesci e di foche, a Paro l'impronta di una sarda nella pietra viva e a Malta impronte di ogni sorta di pesci. Questo è avvenuto quando anticamente tutto fu ridotto a fango e l'impronta del fango si è disseccata» (citato da Ippolito di Roma).
Anche Erodoto (484 a.C. - 430 a.C.) nel testo Le Storie, Libro II, scrive: «E appunto io ritengo che anche l'Egitto sia stato in altri tempi un golfo di tal genere. Un golfo che s'inoltrava dal Mare Settentrionale verso l'Etiopia ... e ne sono personalmente convintissimo; perché vedo che l'Egitto forma una prominenza dal continente, che sui suoi monti appaiono conchiglie, che sul suolo compaiono efflorescenze saline».
Nell'opera Le metamorfosi, Libro XV Ovidio (43 a.C - 17 d.C) scrive: «ho visto terre nascere dal mare, ho visto che lontano dai flutti vengono alla luce conchiglie marine e che si trovano antiche àncore in cima ai monti. Cascate d'acqua hanno trasformato pianure in valli, alluvioni hanno trascinato monti al mare, e luoghi prima paludosi sono deserti di sabbia, altri un tempo riarsi sono bagnati dal ristagno di paludi».
Aristotele (384 a.C - 322 a.C), invece, osservando alcuni pesci fossilizzati, li considerò come esempi di generazione spontanea, sostenendo che si sarebbero originati da uova disperse dal diluvio di Deucalione e Pirra e successivamente sviluppati in sedimenti fangosi per opera di una vis formativa.
A causa dell'autorità di questo filosofo, tali idee paleontologiche hanno attraversato tutto il Medioevo fino ad arrivare al XVIII secolo. Durante tutto questo periodo furono avanzate diverse ipotesi, sempre di natura inorganica, sull'origine dei fossili.
La vis formativa aristotelica divenne vis plastica con il persiano Avicenna (980 - 1037).
Secondo Georgius Agricola è la materia pinguis che, fermentata dal calore, ha originato i fossili dalla roccia stessa oppure un analogo succus lapidescens proveniente dalle profondità della Terra.
Eduardus Luidius (1660 - 1709) parla di aura seminalis, vapori marini carichi di semi che, penetrati negli strati rocciosi, avrebbero dato origine ai fossili.
Infine, per altri si tratta semplicemente di un lusus naturae, uno scherzo della natura.
Nel Medioevo, quando l'origine dei fossili era ancora misteriosa, non sono mancate interpretazioni ancora più fantasiose, derivanti da credenze popolari. Essi erano considerati oggetti meravigliosi dai poteri magici o taumaturgici e venivano utilizzati come amuleti incastonati in eleganti e preziose montature, oppure, polverizzati e assunti in vari modi, erano impiegati come medicamenti. Ne ricordiamo alcune, quelle più conosciute.
Le Ostriche del Giurassico sono interpretate come unghie del diavolo. I Nummuliti diventano lenticchie pietrificate. I serpenti pietrificati sono in realtà Ammoniti. I Ricci di mare sono visti come pietre cadute dal cielo durante i temporali, oppure uova di serpente. I Lamellibranchi sono ritenuti impronte dello zoccolo di Lucifero. Lamellibranchi Megalodonti diventano sentieri pietrificati delle mandrie, oppure impronte del piede del diavolo, poiché assomigliano alle impronte di zoccoli caprini. I dardi del fulmine o le dita del diavolo sono Rostri di Belemniti. L’Ambra, resina fossile di alcune conifere, veniva spiegata come raggi di sole condensati (electrum). Urina di lince condensata (lincurio), lacrime di uccelli mitologici. I Coralli sono visti come cervelli pietrificati. I Denti di Squalo sono stati considerati lingue di serpente impietrite da San Paolo e cadute dal cielo durante le eclissi di Luna. Il Corno del Narvalo (a volte del Rinoceronte) è interpretato come l’Unicorno, mitico animale presente in molte leggende. Il Cranio dell'Elefante nano della Sicilia diventa quello del gigante Polifemo: l'unico occhio è in realtà la cavità nasale. Resti di Mammut e di altri grandi Mammiferi del quaternario si interpretano come uomini giganti, draghi o altri animali fantastici.
Abbiamo poi altre curiose interpretazioni: resti di pasto o oggetti ricordo disseminati da pellegrini o crociati, influssi astrali o planetari, opera del demonio per ingannare l'umanità, raffigurazioni sacre prodotte da divinità, animali morti durante il diluvio universale.
Le idee di Avicenna furono riprese da Johann B. A. Beringer (1667 - 1738), professore di Storia Naturale presso l'Università di Würzburg, secondo cui i fossili erano opere scolpite nella pietra da forze astrali o dall'intervento divino. Due suoi colleghi ne approfittarono per giocargli un brutto scherzo, che poi pagarono caro. Essi prepararono delle tavolette sulle quali scolpirono animali, simboli astrali, scritte in alfabeto ebraico o addirittura il nome di Dio e le nascosero nei luoghi da lui frequentati abitualmente.
Beringer, vista la grande quantità di "reperti" a sostegno delle sue idee, pensò di pubblicare le Lithographiæ Wirceburgensis, un trattato per spiegarne l'origine, chiamandoli lapides figuratae (vedi l'immagine a fianco). Il tutto durò fino a quando fu trovata una tavoletta con la scritta “vivat Beringerius”.
Accanto a queste interpretazioni, non sono mancate intuizioni sulla reale natura dei fossili.
Tra gli studiosi citiamo Leonardo da Vinci (1452 - 1519), considerato da alcuni il padre fondatore della paleontologia, il quale, notando la presenza di fossili marini in Val Padana e sull'Appennino scrive: «Vedesi in nelle montagnie di Parma e Piacentia le moltitudini di nichi [conchiglie] e coralli intarlati, ancora appiccicati alli sassi, de'quali quand'io facevo il gran cavallo di Milano, me ne fu portato un gran sacco nella mia fabbrica da certi villani» (Leicester Codex, folio 9r).
E ancora: «Del diluvio e de' nichi marini. – Se tu dirai che li nichi, che per li confini d'Italia, lontano da li mari, in tanta altezza si vegghino alli nostri tempi, sia stato per causa del diluvio che lì li lasciò, io ti rispondo, io ti rispondo che credendo tu che tal diluvio superasi il più alto 7 cubiti, – come scrisse chi ‘l misurò – tali nichi, che sempre stanno vicini a' liti del mare, dovean stare sopra tali montagne, e non sì poco sopra la radice de' monti, per tutto a una medesima altezza, a suoli a suoli…» (Da: Leonardo prosatore, scelta di scritti vinciani, 1915).
Nel 1510 scrive: « E se voi dite che queste conchiglie furono create, e in modo continuo, in quei posti dalla natura stessa del luogo e dall'influenza che vi possono avere i cieli, una tale opinione non può essere in un cervello in cui vi sia qualche ragione; perché qui noi troviamo la crescita annuale registrata sulle conchiglie, perché si vedono conchiglie grandi o piccole, che non possono essere cresciute senza nutrimento, e non avrebbero potuto nutrirsi senza muoversi e qui esse non potevano muoversi.» ... «E se voi dite che la natura ha formato le conchiglie nelle montagne per l'azione delle costellazioni, come spieghereste il fatto che queste ultime creano delle conchiglie di specie diverse e di diversa età negli stessi luoghi?».
Interpretò correttamente anche le tracce lasciate dagli organismi (icnofossili), come le gallerie scavate dai vermi: «Come nelle falde, infra l'una e l'altra si trovano ancora gli andamenti delli lombrici, che caminavano infra esse quando non erano ancora asciutte» (Leicester Codex, folio 10v).
Nello stesso periodo Girolamo Fracastoro (1476/78 - 1553) riguardo ai fossili trovati nei pressi di Verona, scrive: «ammassando e accozzando insieme molta arena con l'onde sue, e che dove ora sono i monti, fosse già stato il mare, il quale partendosi poco a poco, erano restati in secca». I reperti da lui trovati erano sicuramente di animali marini, la cui presenza in quei luoghi non poteva essere giustificata dal diluvio universale, dovuto ad acqua piovana e, inoltre i fossili avrebbero dovuto trovarsi solo in superficie e non all'interno delle rocce e non potevano essere più recenti delle rocce che li contengono.
Tra il Settecento e l'Ottocento si ristabilì l'esatto significato dei fossili e la loro importanza per la conoscenza dell'età delle rocce.
Tra gli studiosi ricordiamo Antonio Vallisneri senior (1661 - 1730) e Anton Lazzaro Moro (1687 - 1764), cominciarono a confutare la teoria del diluvio. Vallisneri nel libro Dei corpi marini che sui monti si trovano, stampato nel 1728, sostenne che i fossili erano resti di organismi vissuti in altre epoche e che non avevano niente a che fare con il diluvio universale.
Giovanni Arduino (1714 - 1795) per primo suddivise gli strati rocciosi in periodi, basandosi su variazioni verticali di alcune caratteristiche, tra cui i fossili, gettando le basi della moderna stratigrafia.
L'inglese William Smith (1769-1839), studiando la distribuzione dei fossili nelle rocce, notò che ogni strato era caratterizzato da particolari fossili che potevano essere utilizzati per una datazione relativa delle rocce: sono quelli che oggi chiamiamo fossili guida.
Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon (1707 - 1788) fu il primo a trattare in modo organico la storia della Terra e la successione degli organismi viventi, rilevando anche che molti dei fossili trovati erano di specie che oggi non sono più presenti, introducendo così il concetto di "specie estinta".
A Georges Leopold Cuvier (1769 - 1832) va il merito dello sviluppo della paleontologia descrittiva come scienza ed è considerato il fondatore dell'anatomia comparata. Con poche ossa a disposizione, era in grado di ricostruire la struttura anatomica dell'intero organismo basandosi sulla correlazione tra i caratteri. Egli riteneva che i fossili dovessero essere usati al posto dei minerali per la classificazione degli strati, stabilendo se i resti erano di organismi esistenti o estinti, se si trovano in posizione originaria o sono stati trasportati, se sono specifici di quello strato (fossili guida), se le condizioni ambientali erano le stesse di quelle in cui vivono oggi i loro analoghi viventi. Notò anche che c'era un ordine nella presenza dei viventi negli strati successivi: gli ovipari precedono i vivipari, poi i sauri estinti, seguono i grandi mammiferi e, infine, negli strati più recenti gli organismi sono sempre più simili agli attuali. Non si trovano fossili di uomini perché sono creature recenti. Nonostante questa successione, dagli organismi più semplici ai più complessi, non arrivò a riconoscere nei fossili l'evoluzione delle specie (ne riparleremo nelle pagine specifiche).
Jean-Baptiste de Monet cavaliere di Lamarck (1744 - 1829), Alfred Russel Wallace (1823 - 1913) e Charles Robert Darwin (1809 - 1882) non si limitarono alla descrizione dei fossili ma proposero modelli evolutivi per spiegare le variazioni degli esseri viventi nel tempo.