Una molteplicità di proposte
Nessuno dei meccanismi finora proposti è in grado da solo di fornire una spiegazione soddisfacente di tutti i principali aspetti del movimento delle placche. Tuttavia, si ritiene che la causa fondante del movimento sia una disomogenea distribuzione del calore all'interno della Terra, che provoca la formazione di celle di convezione all'interno del mantello.
Alcuni autori ritengono che i meccanismi di trazione e di spinta siano sostanzialmente una forma di corrente convettiva: le intrusioni di materiale che accresce la placca in prossimità della dorsale (in posizione più rilevata rispetto alla fossa di subduzione) possano esercitare una pressione laterale tale da spingere la placca verso le zone di subduzione, dove verrebbe trascinata verso il basso anche a causa del maggiore peso del materiale.
Questa ipotesi è simile a quella che considera il fatto che la fredda litosferica oceanica ha una densità maggiore della sottostante astenosfera: quando la placca comincia a scendere in corrispondenza di una fossa, la porzione pesante che affonda trascina con sé il resto della litosfera, ed è quindi la causa del suo movimento.
Dato però che alcuni oceani, come l'Atlantico, non hanno zone di subduzione, il meccanismo di trazione non può essere chiamato in causa per spiegare l'espansione che si verifica in corrispondenza delle loro dorsali.
Una seconda ipotesi vede placche trascinate per attrito dalle correnti convettive dell'astenosfera.
Altri vedono nei pennacchi ascendenti, che sulla superficie terrestre sono evidenziati dai punti caldi, la causa della spinta laterale che muove le placche. Tali pennacchi caldi si originerebbero al confine tra mantello e nucleo: raggiunta la base della litosfera, si espanderebbero e trascinerebbero via le placche dalla zona di risalita, che apparirebbe in superficie come una zona di rigonfiamento della crosta. Non va tuttavia dimenticato che alcuni punti caldi, come quello che ha dato origine alle Isole Hawaii, non si trovano in corrispondenza di dorsali. Quindi, anche questo modello ha dei limiti.
Vi è infine un approccio globale all'intero processo. Siccome dall'analisi dei terremoti sappiamo che le placche scendono fino a 700 km circa prima di essere completamente riassorbite, ne consegue che una parte considerevole del mantello è coinvolta nelle correnti convettive. Questa ipotesi considera le placche litosferiche non più come elementi passivi trascinati dai movimenti dell'astenosfera, ma come parte superiore (rigida e fredda) della cella convettiva: il materiale che sale in corrispondenza delle zone di espansione viene da profondità elevate ed è assai caldo. Questo materiale, allontanandosi dalla zona di espansione, si raffredda nella parte superficiale e diventa la dura e rigida litosfera che, raffreddandosi e appesantendosi sempre più, sprofonda di nuovo nel mantello, dove è riassimilata.
Comunque, è probabile che il moto delle placche sia dovuto a una o più combinazioni dei meccanismi esaminati.
Ipotesi sul motore delle placche
Le celle convettive
Non si sa quante siano le celle convettive, se interessino l'intero spessore del mantello, solo lo strato superficiale, oppure celle nel mantello superiore coesistenti con quelle del mantello inferiore. Inoltre, poiché le dorsali sono interrotte dalle faglie trasformi, non si sa se siano interrotte anche le celle convettive sottostanti. Ci sono problemi anche se si osservano le placche dell'Africa e dell'Antartide: sono circondate da tre lati da dorsali, senza avere margini convergenti. Infine, come spiegare la diversa composizione delle lave basaltiche delle dorsali e dei punti caldi pur avendo la stessa origine nel mantello?
Il modello a strati prevede due zone di convezione divise a una profondità di 660 km: un sottile strato convettivo nel mantello superiore e uno spesso e lento al di sotto. Questo modello spiega perché le lave basaltiche che escono lungo le dorsali oceaniche hanno un chimismo diverso rispetto a quelle delle Hawaii. I basalti della dorsale medio-oceanica provengono dallo strato convettivo superiore, che è ben amalgamato, mentre il pennacchio che alimenta i vulcani delle Hawaii ha una fonte del magma che risiede nello strato convettivo inferiore. Tuttavia, i dati raccolti dallo studio delle onde sismiche hanno dimostrato che alcune placche oceaniche superano il confine di 660 chilometri e scendono in profondità nel mantello. La litosfera in subduzione dovrebbe mescolare gli strati superiori e inferiori insieme, distruggendo in tal modo la struttura stratificata proposto da questo modello.
La tomografia sismica ha profondamente modificato il precedente modello di movimenti nel mantello organizzati in semplici celle convettive, sostituendolo con un'immagine ben più complessa e articolata le cui celle coinvolgono l'intero mantello.
Le correnti discendenti della convezione del mantello si formano in superficie perché la litosfera, allontanandosi dai margini divergenti si raffredda diventando più densa. Solo quando la placca litosferica incontra un'altra placca in una zona di subduzione inizia a sprofondare, trascinata prevalentemente dalla forza di gravità e in minor misura dalla forza di risucchio esercitata dall'astenosfera. Gran parte dei giganteschi volumi di litosfera oceanica fredda che scendono in subduzione arriva fino al nucleo prima di riscaldarsi e di tornare in ciclo.
Le correnti ascendenti hanno origine nelle zone profonde vicino al nucleo. Il nucleo esterno è agitato da energici moti convettivi con velocità di parecchi chilometri all'anno, che con grande efficacia trasferiscono il calore alla base del mantello. Nel mantello inferiore, quindi, si localizzano regioni con diverse condizioni termiche per cui vi si verificano moti convettivi, sia pure di appena qualche cm/anno. Dalle regioni più calde presenti alla base del mantello si innalzano colonne di materiale caldo, i pennacchi, ciascuno con diametro di un centinaio di km, che arriverebbero fino in superficie, dove si manifesterebbero nei punti caldi. Inoltre c'è anche un grande ammasso di roccia più calda, ritenuto un superpennacchio, che misura 1200 km di larghezza e si innalza obliquamente per 1500 km al di sopra del limite nucleo-mantello fino a sotto l'Africa meridionale. Questa massa calda galleggiante che spinge in alto materiali più freddi può forse spiegare il forte sollevamento, in atto da milioni di anni, degli altopiani del Sudafrica. I pennacchi e i superpennacchi, quindi, «pomperebbero» calore direttamente dal nucleo alla superficie, attraverso l'intero mantello. In tale prospettiva, i movimenti delle placche sarebbero legati ai moti convettivi dell'intero mantello, ma con interferenze dovute alla risalita dei pennacchi, la cui azione prolungata è in grado di «forare» la litosfera e di riversare in superficie enormi volumi di magmi basaltici per tempi lunghissimi.
Le placche che discendono nel mantello inferiore probabilmente separano le grandi correnti ascendenti in correnti più piccole e i moti ascendenti diventano più diffuse. Parte di queste correnti raggiunge i margini divergenti e parte i punti caldi alimentati da pennacchi più vicini alla superficie.
Il modello di convezione dell'intero mantello ha comunque un difetto: il rimescolamento completo di tutto il materiale nel giro di qualche centinaio di milioni di anni eliminerebbe la differenziazione chimica delle fonti di magma, che invece si osserva nei punti caldi e nelle dorsali oceaniche.
In alto a destra: Diverse ipotesi sulle celle convettive
Tomografia della Terra.
Global And Western Us (s/pmean-wus) Composite Tomography - Supercontinent Cycles Through Earth History @clipartmax.com
Clicca sull'mmagine per visualizzare una tomografia sismica interattiva. Le regioni a bassa velocità sismica, visualizzate in rosso, sono più calde delle regioni circostanti mentre quelle ad alta velocità sismica, in blu, sono più fredde.
Un nuovo motore
Studiosi italiani e francesi, in particolare Carlo Doglioni, del Dipartimento di geologia e geofisica dell'Università di Bari, hanno formulato una nuova ipotesi per spiegare il moto delle placche: il motore è la rotazione terrestre.
La Terra sta progressivamente subendo un fenomeno di decelerazione a causa delle maree e delle oscillazioni dell'asse di rotazione. Poiché la rigida crosta è scollata dal mantello ed è anche più leggera, rallenta più in fretta producendo un moto relativo della stessa verso ovest; il movimento non è omogeneo perché la crosta ha spessore e densità diverse negli oceani e nei continenti, ed è questa differenza a causare la convergenza o la divergenza delle placche: se tra due zolle che migrano verso ovest, quella occidentale è più veloce si ha una divergenza, mentre se è più lenta si ha una convergenza.
La prova che viene fornita è quella delle inclinazioni diverse del piano di Benioff: quelli che immergono verso ovest sono sempre più inclinati (40-90°) rispetto a quelli che piegano verso est (15-40°). I primi, immergendosi sotto la litosfera, sarebbero "raddrizzati" dallo scorrimento verso est del mantello, mentre i secondi sarebbero "appiattiti" dal medesimo flusso. La pendenza del piano produce anche caratteristiche diverse alle catene montuose che si originano dalla convergenza: se è immerso verso est si hanno rocce intrusive e metamorfiche che risalgono dalla crosta profonda (Himalaya, Alpi, Ande); se è immerso verso ovest, il piano più inclinato coinvolge nel processo rocce più giovani e superficiali, sollevandole in rilievi più modesti (Appennini, Carpazi, Giappone).
Ipotesi di Doglioni