Come possono i cambiamenti genetici portare a cambiamenti così importanti negli organismi e originare tutta quella diversità biologica che oggi osserviamo sulla Terra?
È vero che nuove strutture possono nascere da strutture preesistenti, come abbiamo visto con il preadattamento, ma le recenti scoperte nel campo della genetica ci offrono nuove prospettive interpretative del processo evolutivo.
I processi molecolari che sono alla base dell'evoluzione
Storicamente, lo studio dell'evoluzione si basava su un confronto tra l'anatomia di specie estinte e moderne per identificare somiglianze tra specie correlate. Tuttavia, l'avvento degli approcci molecolari per l'analisi delle sequenze di DNA ha rivoluzionato il campo della biologia evolutiva. Ora possiamo analizzare come i cambiamenti nel materiale genetico sono associati ai cambiamenti nel fenotipo.
Gli studi recenti hanno evidenziato che non è sempre necessario avere l'accumulo di tante piccole mutazioni nel genotipo per avere un considerevole cambiamento fenotipico. Poiché i geni regolatori influenzano l'espressione di altri geni, un cambiamento evolutivo può derivare anche da una singola mutazione di un gene regolatore, da cambiamenti nella sequenza dei geni o semplicemente spostando in senso temporale l'entrata in gioco di una proteina strutturale o enzimatica.
Geni omologhi, ortologhi e paraloghi
Si definiscono geni omologhi quelli che si sono originati per divergenza da un gene ancestrale comune.
Se consideriamo un gene in due specie diverse di organismi, queste hanno avuto un antenato comune. Quando l'antenato divergeva, formando due o più specie, il gene di ciascuna ha cominciato ad accumulare mutazioni in modo indipendente, ma continuando a conservare la somiglianza poiché derivano dallo stesso gene ancestrale.
Il grado di somiglianza tra geni omologhi fornisce una buona prova per il grado di parentela tra le specie.
Geni omologhi che si trovano in specie diverse ma correlate, che codificano per proteine che hanno le stesse funzioni (o molto simili) e che si sono separati in seguito a eventi di speciazione, sono denominati ortologhi. Generalmente, le proteine che codificano mostrano il 60/70% di identità.
Ad esempio, l'α-globina umana e quella di topo hanno iniziato a divergere circa 80 milioni di anni fa, quando avvenne la divisione che diede vita ai Primati e ai Roditori.
Un processo particolarmente importante per l'evoluzione divergente molecolare è la duplicazione genica. Si verifica quando i cromatidi si appaiano in modo sfalsato durante il crossing-over, per cui su uno si ha una duplicazione e sull'omologo la delezione di geni (crossing-over ineguale).
Duplicazione di un gene in tandem
La duplicazione consente a ciascun gene duplicato di subire mutazioni senza alterare il fenotipo e quindi di evolvere in modo indipendente - purché almeno uno mantenga la sequenza e funzione originaria -, perciò si può avere:
- un aumento del prodotto di un gene,
- una nuova funzione,
- oppure non essere più funzionante, diventando un pseudogene, cioè un gene inattivato da qualche mutazione e che ha perso la sua funzione.
I geni omologhi che derivano da un evento di duplicazione genica nel genoma di una stessa specie sono detti paraloghi. Essi originano dunque da un unico gene ancestrale e tendono a evolvere acquisendo funzioni diverse da quelle del gene originario anche se a esse correlate, dando origine a un gruppo di geni strettamente affini, definiti complessivamente famiglia genica.
Le copie multiple di un gene rappresentano una grande fonte di variabilità, utile per l'evoluzione molecolare.
Ad esempio, nei Vertebrati l'α-globina e la ß-globina hanno iniziato a divergere in seguito alla duplicazione di un gene globinico ancestrale, perciò sono da considerare paraloghi.
Nel corso dell'evoluzione dei Pesci si è verificato un evento di duplicazione del gene della globina: alcuni pesci hanno un singolo gene, mentre altri ne hanno due, uno simile alla α-globina e uno alla ß-globina. Dai Pesci con due globine si sono evoluti gli Anfibi, e da questi i Rettili, gli Uccelli e i Mammiferi.
Il gene dell'α-globina dei Mammiferi e dell'α-globina degli Anfibi sono omologhi perché derivano dallo stesso gene ancestrale e anche α-globina e ß-globina sono omologhi perché derivano da un unico gene ancestrale. Nel primo caso (α-globina di Mammifero e di Anfibio) i due geni si sono differenziati perché appartenenti a due specie diverse, e quindi sono ortologhi. Nel secondo caso (α-globina e ß-globina) c'è stata una duplicazione genica e le due varianti geniche che sono evolute nello stesso genoma sono paraloghe.
Rimescolamento degli esoni
L'mRNA è suddiviso in sezioni, alcune delle quali sono effettivamente tradotte (esoni), mentre altre sono eliminate (introni).
Molte proteine hanno una struttura modulare composta da due o più domini con funzioni diverse. Ogni dominio tende ad essere codificato da un esone o da una serie di due o più esoni adiacenti.
Attraverso un crossing-over diseguale è possibile ottenere un rimescolamento degli esoni, cioè uno o più esoni, insieme a una parte degli introni adiacenti, è inserito in un altro gene. In questo modo si crea un nuovo gene che codifica una proteina con un dominio aggiuntivo. La nuova proteina da esso codificata può modificare tratti nell'organismo e quindi essere sottoposta a selezione naturale, svolgendo un ruolo importante nell'evoluzione dei viventi.
Poiché le regioni introniche sono più lunghe rispetto agli esoni, è all'interno di queste aree che più probabilmente si attua la ricombinazione, evitando l'interruzione degli esoni. Inoltre, mentre gli esoni si appaiano e si mescolano, negli introni si accumulano le mutazioni senza che vi siano effetti a livello fenotipico, aumentando il polimorfismo delle popolazioni.
In alternativa al crossing-over, elementi trasponibili, descritti in precedenza, possono promuovere il movimento di esoni in altri geni.
Un doppio crossover sposta l'esone 3 e parte degli introni contigui dal gene 1 al gene 2. La proteina codificata dal primo gene perde un dominio e, se non è più funzionale, la selezione può eliminarlo dalla popolazione. Il gene 2, invece, codifica una proteina con un dominio aggiuntivo e potrebbe essere favorita dalla selezione.
Trasferimento genico orizzontale
Un altro fattore di evoluzione è il trasferimento genico orizzontale consistente nel passaggio di materiale genetico da cellule di un organismo a quelle di un altro della stessa specie o di specie diversa senza essere la progenie di tale organismo. Il trasferimento genico verticale, invece, riguarda la riproduzione ed è il passaggio del materiale genico da una cellula madre alle figlie.
Il trasferimento avviene mediante coniugazione, trasformazione, trasduzione, processi che abbiamo esaminato nella pagina della riproduzione.
Questo processo è molto comune negli Archei e nei Procarioti, ma è stato osservato anche nelle Piante superiori e negli Animali. Questo può accadere quando una cellula eucariote ingloba un Battere: se questo sfugge alla degradazione, può inserirsi in un cromosoma della cella eucariote. Sembra che nell'uomo siano presenti circa 150 geni di origine batterica.
Il trasferimento genico orizzontale rappresenta un ulteriore meccanismo che produce variabilità genetica e l'aggiunta di nuovi geni può provocare la rapida acquisizione di nuove funzioni che favoriscono il processo evolutivo, senza stadi evolutivi intermedi.
Cambiamenti nella struttura e nel numero dei cromosomi
L'evoluzione si verifica anche a livello genomico, comportando cambiamenti nella struttura e/o nel numero dei cromosomi, frequenti in tutti gli organismi.
Confrontando i cariotipi di specie affini è possibile stabilire la parentela, cioè il grado di divergenza e quali meccanismi hanno portato all'isolamento riproduttivo.
Ad esempio, se confrontiamo il cariotipo delle scimmie antropomorfe (scimpanzé, gorilla, orango) e dell'uomo, notiamo che quest'ultimo ha 46 cromosomi contro i 48 delle scimmie.
La riduzione del numero di cromosomi nella specie umana si spiega con una traslocazione robertsoniana avvenuta nel corso dell'evoluzione umana. Essa consiste nella fusione di due cromosomi acrocentrici, cioè hanno un braccio lungo e uno corto rispetto al centromero, che si rompono ambedue in corrispondenza del centromero, ma su lati opposti. I due frammenti di ciascun cromosoma si riuniscono scambiati, formando un cromosoma grande metacentrico (con centromero in posizione mediana), costituito dalle parti lunghe, e un piccolo cromosoma metacentrico costituito dalle due parti corte che di solito viene perduto, diminuendo il numero totale dei cromosomi.
Questo tipo di fusione delle estremità non è raro e quasi sempre non ha conseguenze fenotipiche, probabilmente perché il materiale perduto appartiene alle estremità ed è privo di geni.
Nel nostro caso, se si confrontano le bande ottenute tramite colorazione di Giemsa dei cromosomi 12 e 13 acrocentrici dello scimpanzé con quelle del grande cromosoma 2 metacentrico umano, si nota una notevole somiglianza. Questo significa che i due cromosomi 12 e 13 del Primate ancestrale hanno subito una traslocazione robertsoniana, con la conseguente diminuzione del numero di cromosomi totale da 48 a 46.
Un altro cambiamento interessante nella struttura cromosomica si è osservato nel cromosoma 3. Le bande dei cromosomi umani, di scimpanzé e gorilla si presentano molto simili, ma l'orangutan ha una grande inversione che ribalta la disposizione delle bande nella regione centromerica. I cambiamenti nella struttura e nel numero dei cromosomi possono influenzare la capacità di due organismi di riprodursi tra loro. In questo modo, tali cambiamenti sono stati importanti nella formazione di nuove specie.
Epigenetica
Argomento già affrontato in precedenza, l'epigenetica comprende lo studio di tutti quei meccanismi che si attuano durante lo sviluppo, nel passaggio da genotipo a fenotipo adulto, i quali producono variazioni fenotipiche non correlate a sottostanti variazioni genotipiche.
Grazie ai meccanismi epigenetici, da uno stesso genoma possono derivare proteine, cellule, strutture e forme differenti, variandone l'espressione tramite la metilazione del DNA o il riarrangiamento strutturale della cromatina, senza alcun cambiamento nella sequenza delle basi azotate.
Ad esempio, l'ape regina e le api operaie hanno il medesimo genoma: la differenziane si verifica tramite meccanismi epigenetici indotti dalla dieta alla quale le larve sono sottoposte.
Con meccanismi non ancora chiariti, i cambiamenti epigenetici avvenuti in un organismo possono trasferirsi alla discendenza, anche se vengono perduti nel giro di qualche generazione. In alcuni casi, tuttavia, si è osservato che l'alterazione dell'espressione genica si mantiene nella prole, anche se non è più presente la modifica epigenetica dell'allele. In questo caso si parla di paramutazione, cioè l'interazione tra due alleli di un singolo locus, in cui uno induce un cambiamento ereditabile nell'altro.
La paramutazione può portare a fratelli che hanno la stessa sequenza genetica, ma con fenotipi molto diversi e questo potrebbe spiegare quegli adattamenti troppo rapidi perché trovano una giustificazione con i normali processi evolutivi. Inoltre, sembra che in alcuni casi i meccanismi epigenetici modifichino l'espressione genica in risposta a cambiamenti ambientali.
Evolution of Development: evo-devo
Un nuovo campo della biologia che si è recentemente affermato è quello della biologia evolutiva dello sviluppo, indicata come evo-devo (Evolution of Development, evoluzione dello sviluppo).
I geni che svolgono un ruolo nello sviluppo possono influenzare la divisione, la migrazione, la differenziazione e la morte cellulare. L'interazione tra questi quattro processi produce un organismo con un modello corporeo specifico. L'evo-devo confronta lo sviluppo di diversi organismi per comprendere le relazioni tra gli organismi e i meccanismi di sviluppo che portano al cambiamento evolutivo. Alla base dei cambiamenti evolutivi, infatti, spesso ci sono cambiamenti nei processi di sviluppo che controllano la morfologia di un organismo.
Negli ultimi decenni, i genetisti dello sviluppo hanno acquisito una migliore comprensione dello sviluppo biologico a livello molecolare. Gran parte di questo lavoro ha comportato la scoperta di geni specifici coinvolti nel processo di sviluppo negli organismi e del loro funzionamento. In particolare, esiste un piccolo numero di geni (geni omeotici), estremamente conservati in molte specie, dagli Insetti all'uomo, che programmano lo sviluppo, controllano lo schema spaziale, la velocità e la successione temporale dei cambiamenti che interessano la forma di un organismo durante il suo sviluppo da zigote a forma adulta.
Esamineremo nei paragrafi successivi ciascuno di questi aspetti.
Secondo l'evo-devo i geni omeotici, per la loro azione di regolazione e coordinamento dell'espressione genica, hanno un ruolo fondamentale nei processi evolutivi poiché le mutazioni che avvengono in essi possono originare rapidamente nuovi fenotipi con la riprogrammazione dello sviluppo in direzioni inedite.
Anche senza una mutazione che produca nuovi geni, strutture completamente innovative possono derivare da fenomeni di regolazione diversi: ai fini evolutivi è più importante quando e dove un gene si attiva, rispetto a una mutazione.
Riprendiamo ancora una volta l'esempio dell'occhio.
In precedenza si era fatto cenno al fatto che questo organo è assai diverso da una specie all'altra: moscerini, granchi e altri Artropodi hanno occhi composti, costituiti da centinaia di singole unità visive, mentre l'uomo e tutti gli altri Vertebrati hanno un occhio a camera, con una sola lente, come polpi e calamari. Basandosi esclusivamente sulla morfologia, si ritenevano strutture non omologhe che richiedevano un proprio specifico corredo di geni, sorte in modo indipendente più volte durante l'evoluzione.
I biologi dello sviluppo nel 1994 hanno invece identificato un gene, chiamato Pax-6, che codifica per un fattore di trascrizione che controlla l'espressione di molti altri geni, compresi quelli coinvolti nello sviluppo dell'occhio negli Insetti, nei Roditori e nell'uomo.
Le mutazioni del Pax-6 portano al fallimento dello sviluppo dell'occhio nell'uomo come nel topo. Si è visto anche che la versione del gene presente negli Insetti può sostituire quella dei Vertebrati: quando il gene del controllo master Pax-6 del topo attiva la formazione degli occhi in Drosophila, l'occhio prodotto è un occhio di Drosophila, non un occhio di topo. Questo si verifica perché, attraverso i meccanismi di regolazione genica, il gene Pax-6 si esprime in modo diverso a seconda del contesto.
I geni omeotici controllano l'identità di ciascun segmento
I geni Hox o geni omeotici sono una famiglia di geni, presente negli Animali ma non in altri Eucarioti, che svolgono un ruolo di controllo sul corretto sviluppo del piano strutturale dell'organismo, specificando quali strutture anatomiche si debbano formare in ciascun segmento dell'embrione. Essi sono responsabili nel determinare l'identità antero-posteriore del corpo e sono disposti nel genoma nello stesso ordine in cui si dispongono i segmenti corporei. Geni analoghi nelle Piante hanno un ruolo nella crescita dei germogli e nello sviluppo delle foglie.
Ne sono un esempio i geni Hox, scoperti nel moscerino della frutta; essi attivano lo sviluppo dei diversi "segmenti" del corpo decidendo dove, nell'embrione, si devono posizionare il capo, gli arti, l'addome, ecc. (vedi disegno qui).
Questi geni sono molto simili in diverse specie, anche ampiamente separate dal punto di vista evolutivo; in particolare, essi contengono un'identica sequenza di 180 nucleotidi, detta homeobox, che codificano per un polipeptide altamente conservato di 60 amminoacidi, presente in tutti gli Animali, detto omeodominio.
Tutti i geni Hox codificano per fattori di trascrizione che hanno un ruolo molto importante nell'organizzazione spaziale dell'embrione. Ogni gene Hox controlla una gerarchia di molti geni regolatori che a loro volta regolano l'espressione di geni che codificano proteine che influenzano la morfologia definitiva dell'organismo.
La sorprendente somiglianza dei geni omeotici in organismi filogeneticamente distanti suggerisce che si siano sviluppati molto presto nella storia della vita e che erano presenti nell'antenato comune di tutti i Metazoi. Essi si sono conservati inalterati nel corso dell'evoluzione e ciò fornisce un'ulteriore prova dell'origine comune di tutti i viventi.
Si ipotizza che i geni Hox si siano formati in seguito a un processo di duplicazione e divergenza genica.
Un gene viene duplicato durante la divisione cellulare in modo che i suoi discendenti abbiano due copie del gene. Se nel genoma di una specie esistesse solo una copia di un gene, le proteine trascritte da questo gene sarebbero essenziali per la loro sopravvivenza. La duplicazione genica consente ai geni di subire mutazioni nella copia duplicata, che alla fine darebbe origine a nuovi geni nel corso dell'evoluzione, divergendo in modo che i prodotti per cui codificano abbiano funzioni diverse ma correlate, con i geni ancora adiacenti al cromosoma.
Se noi contiamo i geni Hox nelle diverse specie, notiamo che animali con una struttura corporea più complessa tendono ad avere più geni Hox nei loro genomi rispetto ai genomi di animali più semplici.
La Spugna, il più semplice degli animali, ha un singolo gene Hox, derivante da un primordiale gene Hox comparso oltre 600 milioni di anni fa in un organismo ancestrale non segmentato. Il periodo Cambriano (543-490 milioni di anni fa) ha visto una grande diversificazione di specie animali. Questa diversificazione si è verificata dopo una prima fase di duplicazione che ha creato due cluster Hox. Circa 420 milioni di anni fa, una seconda duplicazione ha prodotto specie con quattro cluster Hox. Questo evento ha preceduto la proliferazione dei Tetrapodi Vertebrati, avvenuta durante il periodo Devoniano, circa 417-354 milioni di anni fa. Questa seconda duplicazione può essere stato un evento fondamentale che ha portato all'evoluzione dei moderni Vertebrati terrestri con quattro arti, quali Anfibi, Rettili e Mammiferi, tutti con quattro cluster Hox. Nei Mammiferi i quattro cluster di geni Hox, tutti leggermente diversi, contengono un totale di 38 geni.
I ricercatori ritengono che l'aumento del numero di geni Hox sia stato determinante nell'evoluzione di molte specie animali, permettendo di ottenere molte parti specializzate della regione che controlla, lungo l'asse corporeo.
Geni Hox
Cambiamenti nello schema spaziale
Una mutazione omeotica, cioè che riguarda la sede in cui i geni omeotici si esprimono, può indurre cambiamenti nell'attività e negli schemi di espressione di questi geni, determinando, nell'evoluzione delle specie, alterazioni significative nella morfologia degli animali.
Per esempio, se osserviamo le pinne pari dei Pesci e gli arti dei Vertebrati, sembra che non siano strutture omologhe. In realtà, l'evo-devo ha dimostrato che ci sono due geni Hox, responsabili dello sviluppo delle ossa degli arti, che si sono conservati nei Pesci e nei Tetrapodi. Nell'arto di questi ultimi, però, una seconda sede di espressione produce gli elementi scheletrici aggiuntivi che si svilupperanno nelle ossa del piede. Sembra, dunque, che siano state modificazioni nell'espressione di questi geni a determinare l'evoluzione di arti adatti alla deambulazione, partendo dalle pinne pari dei Pesci.
Se la mutazione omeotica avviene durante lo sviluppo dell'animale, le strutture si formano correttamente ma nei posti sbagliati.
Sono note mutazioni di Insetti che presentano un numero anomalo di ali o appendici (zampe, antenne) o con appendici scambiate tra loro. L'Antennapedia è un gene Hox scoperto per la prima volta in Drosophila che controlla la formazione delle zampe durante lo sviluppo. Una mutazione nella regione regolatoria di questo gene provoca lo sviluppo di una coppia di zampe ectopiche al posto delle antenne (vedi immagine sotto).
Cambiamenti nel tasso di accrescimento
Durante lo sviluppo, la maggior parte degli organismi mostra vari tassi di crescita per le diverse parti del corpo, conosciuta come crescita allometrica (dal greco allo "diverso" e metro, "misura").
La dimensioni della testa nei neonati umani è grande rispetto al resto del corpo e le gambe sono proporzionalmente corte. Quando il bambino cresce, il torso, le mani e le gambe crescono più rapidamente rispetto alla testa, però mani e piedi hanno una crescita lineare (isometrica): pugno e piede hanno la stessa lunghezza e crescono linearmente.
(Crediti: Ephert /CC BY-SA 4.0)
L'accelerazione o il rallentamento della crescita sembra essere un evento comune nell'evoluzione e può portare a diverse specie con notevoli differenze morfologiche. Infatti, un cambiamento nell'espressione genica potrebbe bloccare un processo di sviluppo, oppure farlo continuare al tasso normale per un tempo più lungo.
Per esempio, se la crescita delle ossa degli arti fosse bloccata in fase precoce, il risultato potrebbe essere un animale dalle zampe più corte o, al contrario, se il processo non fosse interrotto nel punto normale, il discendente potrebbe avere arti più lunghi dell'antenato, ecc.
Cambiamenti nella successione temporale
La pedomorfosi (dal greco paidós "bambino" e morphé "forma") è la conservazione di alcune caratteristiche morfologiche e fisiologiche tipiche delle forme infantili (ad es. nell'uomo, la mancanza di una fitta peluria sul corpo, caratteristica, invece, di tutti i Primati adulti), o addirittura larvali della propria specie durante lo stadio adulto; questa caratteristica si associa frequentemente con la neotenia, cioè il fenomeno per cui un organismo raggiunge la maturità sessuale in uno stadio morfologico giovanile.
La neotenia è caratteristica di tutte le famiglie di Anfibi Urodeli, come la salamandra, nella quale la metamorfosi non si verifica a causa di una insufficiente attività ormonale legata alle condizioni ambientali: in caso di scarsità di nutrimento è conveniente mantenere lo stadio larvale, meno dispendioso dal punto di vista energetico.
Esempi tipici di neotenia li osserviamo nell'Axolotl (Ambystoma mexicanum) e nel Proteo (Proteus anguinus), che conservano le branchie esterne anche nelle forme adulte e si riproducono senza metamorfosi.
Ambystoma mexicanum
Si ipotizza che anche l'uomo derivi da antenati scimmieschi a causa di una mutazione neotenica, cioè Homo sapiens mantiene in età adulta caratteristiche che le altre scimmie hanno nell'infanzia.
Se osserviamo le immagini sottostanti, notiamo che il giovane scimpanzé ha una postura eretta, pochi peli e un aspetto che lo fa assomigliare molto di più a un bambino della specie umana, che non allo scimpanzé adulto dell'altra immagine.
(Crediti: Adolf Naef, 1926)
Nella fase fetale il cranio è arrotondato e le mascelle sono piccole, il che conferisce alla faccia una forma piatta e rotonda; le dimensioni e la forma dei crani sembrano abbastanza simili. Con il procedere dello sviluppo la crescita allometrica delle mascelle produce, nello scimpanzé adulto, il caratteristico cranio allungato, con fronte bassa e mascelle potenti. Negli esseri umani, invece, la mascella cresce più lentamente e la regione del cranio che circonda il cervello cresce un po' più velocemente, pertanto, gli umani adulti hanno mascelle più piccole ma un cranio più grande e più sferico. Il cervello in esso contenuto è anch'esso molto grande e complesso, e, a differenza di quello degli scimpanzé, continua a crescere per tutto il primo anno di vita con la stessa elevata velocità che si riscontra nel feto: un fenomeno che può essere interpretato come il prolungamento di un processo giovanile.
(Crediti: Adolf Naef, 1926)
Come può una caratteristica infantile rappresentare un'evoluzione? Evoluzione non significa progresso e, come abbiamo visto sopra l'esempio della salamandra, questo tipo di cambiamento neotenico può fornire una maggiore probabilità di sopravvivenza e quindi di evoluzione. Allo stesso modo, la neotenia nell'uomo ha consentito un maggiore sviluppo del cervello.
Lo stesso fenomeno potrebbe essere intervenuto nella formazione dei Vertebrati, a partire da una larva di un primitivo Tunicato, come l'ascidia. Allo stadio larvale, infatti, il Tunicato possiede la corda dorsale, che scompare nell'adulto. Se la larva diventasse sessualmente matura prima della metamorfosi, potrebbe dare origine a una progenie dotata anch'essa di corda dorsale, cioè una rudimentale colonna vertebrale, che è uno degli elementi distintivi dei Vertebrati.