Ribadendo che i fossili sono di per sé conservazioni sempre eccezionali, meritano di essere ricordati anche alcuni particolari ritrovamenti di parti che normalmente non si conservano.
Tra queste, cito il rinvenimento di batteri contenuti in acque salate che accompagnano i giacimenti di petrolio o in evaporiti i quali, posti in coltura, si sono riprodotti. Questo fatto può essere spiegato con una disidratazione delle cellule in soluzione soprasatura.
Di particolare interesse è il ritrovamento di animali dal corpo molle come meduse, anellidi, molluschi, penne di uccelli in calcari particolarmente fini.
Sono stati trovati anche frammenti di pelle di rettili, Amebociti, Flagellati ancora con parte della sostanza organica originaria, ma anche rane, serpenti e pipistrelli fosfatizzati, Euripteridi con lo scheletro chitinoso ancora flessibile.
La natura e le caratteristiche del sedimento hanno permesso la conservazione di parti che normalmente sono le prime ad andare perdute.
Fossile di libellula
Fossili "particolari"
Anche le tracce dell'attività biologica degli organismi sono classificate come fossili, o meglio, icnofossili. Appartengono a questa categoria le piste e le gallerie prodotte da animali limivori come Anellidi, Gasteropodi e Crostacei, tane di alcuni animali e anche le orme indicanti passeggiate su terreni fangosi di rettili (nella foto: orme di Dinosauri a Rovereto), uccelli e anfibi, fori di Litodomi o di altri organismi di scogliera.
La disciplina che studia le tracce fossili si chiama paleoicnologia, che cerca di classificarle mediante una nomenclatura binomia ma artificiale, poiché non è sempre possibile attribuire la traccia a un preciso organismo, e di interpretarle comparandole con le tracce attuali.
Per quanto riguarda le impronte e le gallerie, sono state definite alcune categorie in base al comportamento che le ha originate: cubicnia, tracce dovute al seppellimento durante i periodi di riposo; repicnia, tracce di spostamento e gallerie nel benthos; pascicnia, tracce di animali limivori in cerca di cibo (vedi disegno a fianco); fodinicnia, scavi temporaneamente impiegati come rifugi durante la ricerca di cibo; domicnia, tane di abitazione, fugicnia, tracce di fuga lasciate da bivalvi e altri animali sospensivori.
Gli icnofossili forniscono importanti indicazioni dell'attività fisiologica degli animali che l'hanno prodotta. Sono stati rinvenuti animali conservanti nel loro interno resti di cibo di cui si nutrivano. Le tracce di predazione sono rappresentate da gusci di Lamellibranchi e Gasteropodi con perforazioni dovute a Gasteropodi carnivori, corna o ossa con segni di denti di roditori. I prodotti dell'escrezione vengono raggruppati complessivamente sotto il nome di coproliti. In altri casi si può risalire al tipo di riproduzione. Famoso è il "parto fossile" di un Ittiosauro o i rinvenimenti di uova con tracce di embrione di Dinosauri.
- I Dinosauri di Lavini di Marco
Qual è quella ruina che nel fianco
di qua da Trento l'Adice percosse,
o per tremoto o per sostegno manco,
che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è sì la roccia discoscesa,
ch'alcuna via darebbe a chi sù fosse:Inferno XII, 4-9
Così Dante descrive nel XII canto dell'Inferno la località di Lavini di Marco: una grossa frana (Slavini di Marco), causata da un terremoto o per erosione del terreno sottostante, precipitata (probabilmente nel IX secolo) sulla riva sinistra dell'Adige (a sud di Rovereto), che permette a chi si trova in alto di scendere lungo il pendio frantumato e sassoso.
Il sito
La località di Lavini di Marco (o Slavini di Marco) - Marco è una frazione di Rovereto - si trova sul fianco sinistro della Val d'Adige, circa 5 chilometri a sud di Rovereto (TN), tra Lizzana e Serravalle all'Adige.
Si può raggiungere da Rovereto prendendo la Strada degli Artiglieri che dall'Ossario di Castel Dante sale fino alla grotta Damiano Chiesa* (foto a destra) e nel piazzale della Baita degli Alpini (foto a sinistra) si può parcheggiare. Si torna poi indietro a piedi per circa 200 m e si prende a sinistra la strada sterrata per mezzora fino al sito delle orme.
* Damiano Chiesa (1894 - 1916), sottotenente di Rovereto, catturato e ucciso dagli austriaci nel 1916.
Il sito è liberamente accessibile, ma può essere richiesta una visita guidata con esperti alla Fondazione Museo Civico di Rovereto.
Lungo il percorso sono presenti pannelli esplicativi. Qui sotto il percorso con i luoghi più significativi, la cui descrizione si trova più avanti.Il Sentiero della Pace si avvicina alla zona dei Lavini in cui si sono svolte importanti battaglie durante la prima guerra mondiale.
L'area consiste in una serie di colatoi* alle pendici del Monte Zugna, a una quota compresa tra 480 e 700 m, in cui sono impresse le orme di Dinosauri carnivori ed erbivori di circa 200 milioni di anni fa.
Di particolare interesse sono anche i Laghetti di Marco (Laghét Grand e Laghét Picol) - due depressioni di origine carsica (doline) presenti all'interno della frana** - sia dal punto di vista faunistico (Coleotteri, Tritoni, Rospo comune, Natrice dal collare, Gallinella d'acqua, ma anche Martin pescatore, Rapaci, diverse specie di Ofidi ecc.), sia per la vegetazione acquatica e palustre, tipica di ambienti umidi. Nell'area sono presenti molte piante di Pino nero (Pinus nigra), specie non proprio tipica della zona, frutto di un rimboschimento fatto alla fine dell'Ottocento dall'imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria (1830 - 1916) o tra il 1932 e il 1937 dalla “Milizia forestale” (le fonti consultate sono discordi).
* Un colatoio è un'area in pendenza in cui le acque dilavanti hanno asportato i detriti.
** Trovandosi su detriti di frana, quindi con fondo permeabile, presentano un livello variabile di acqua, che è abbondante dopo grandi piogge e lo scioglimento delle nevi, fino a divenire asciutti nel periodo estivo e invernale ma, in ogni caso, in progressiva diminuzione.
La frana
La frana descritta da Dante, probabilmente quella di Lavini (non tutti gli studiosi convengono che si tratti proprio di questa), è in realtà una successione di frane di scivolamento traslativo (almeno 7) staccatesi dal versante occidentale Monte Coni Zugna, che hanno interessato tutto l'Olocene (11700 anni - presente), probabilmente innescate da fenomeni sismici* o, per alcuni autori, dal ritiro del ghiacciaio durante l'ultima glaciazione (poco probabile). Alcune di queste si sono evolute in valanghe di detrito. La zona è tuttora in fase deformativa, con lenti movimenti di scivolamento.
La prima e più grande frana sarebbe avvenuta prima dell'ultima glaciazione, oppure 4000 - 6000 anni fa, - qualche autore la data in epoca romana (ritrovamento di monete romane) o forse 1000 anni prima - mentre l'ultima è appunto quella citata dal sommo poeta.
Le datazioni radiometriche fissano quest'ultimo franamento a 1300±100 anni dal presente, calibrata a 580 - 895 d.C., compatibile con l'833 d.C. riportato dagli Annali di Fulda (c. 817 - 863 d.C.).La frana è costituita da imponenti laste (foto sotto) di roccia calcarea che sono scivolate dai versanti a franapoggio lungo piani di discontinuità, dovuti a sottili intercalazioni marnose e marnoso-argillose.
Sono stati individuati al momento 4 grandi blocchi, disposti ordinatamente, appartenenti al medesimo strato e un quinto strato molto alterato.Il macereto, cioè l'accumulo caotico dei massi franati sul pendio della montagna, è costituito da detriti di dimensioni variabili da piccoli frammenti a grossi blocchi, insieme a colatoi calcarei resi lisci dagli agenti esogeni.
La frana e gli agenti esogeni hanno messo a nudo un migliaio di orme di Dinosauri e altri animali sullo strato calcareo del Giurassico inferiore (Lias inferiore, circa 200 m.a.).
Per quanto riguarda il nome, nel Medioevo “labinia” indicava una frana, la cui radice latina -lab e il termine “labes” hanno un significato legato al crollo e anche oggi, nel dialetto trentino, i “lavini” indicano accumuli di blocchi rocciosi.
La tipologia di frana è invece localmente chiamata “marocca”, come le Marocche di Dro, sempre in provincia di Trento, altrettanto interessanti.Trattandosi di rocce calcaree, sono soggette a fenomeni di carsismo superficiale, evidenziato da piccoli solchi paralleli e sistemi di fessurazione. I laghetti citati sopra occupano due doline di origine carsica.
* In
Malographia Tridentina
di Giangrisostomo Tovazzi è citato un fortissimo terremoto avvenuto nel 365 d.C., ma ci sono stati forti terremoti anche nell'894, 1001, 1095, 1117, 1183.
La scoperta
Nel maggio 1988 il geometra Luciano Chemini di Rovereto, che si definisce “appassionato della natura”, mentre esplorava l'area in questione notò una certa regolarità in alcune depressioni - con terriccio ed erbe - che non sembravano un normale effetto dell'erosione, poiché presentavano un bordo rialzato. A un esame più attento capì che non si trattava di semplici incavi ma orme di Dinosauri, come sarà successivamente confermato prima da paleontologi del Museo Tridentino di Scienze Naturali (Giuseppe Leonardi e Michele Lanzinger) e poi con esplorazioni sistematiche dal prof. Giuseppe Leonardi, esperto in icnologia dei Vertebrati, conservatore del museo di scienze MUSE di Trento e dal prof. Paolo Mietto, dell'Università di Padova, in collaborazione con il dr. Marco Avanzini del MUSE e con il dr. Franco Finotti del Museo Civico di Rovereto.
Le impronte scoperte da Chemini sono oggi visibili lungo il Colatoio Chemini (foto a fianco) e comprendente almeno venti piste, una minima parte di quelle trovate successivamente.La geologia
Dalla fine del Triassico e nel Giurassico inferiore si ha la frammentazione della Pangea in due blocchi, Laurasia a nord e Gondwana a sud (Clicca qui - Crediti: Lenny222, Valepert - CC BY-SA 3.0), dovuta all'apertura dell'Atlantico meridionale, che spinge l'Africa verso Est. Nel Giurassico medio la Laurasia si divide in due blocchi: America settentrionale ed Eurasia. Nel mare della Tetide, formatosi in conseguenza di questi spostamenti, si ha la deposizione di imponenti serie sedimentarie, in particolare la Dolomia Principale triassica.
Nell'area di interesse, dallo smembramento della Dolomia principale si formò la Piattaforma di Trento, limitata a sinistra dal Bacino Lombardo (ancora in abbozzo nel periodo delle orme dei Dinosauri) e a destra dal Bacino Bellunese. La piattaforma carbonatica, con uno spessore di oltre 1500 m, è data da un insieme di ambienti tropicali di mare poco profondo: lagune, spiagge, piane di marea.
Su questa piana carbonatica di marea nel Lias inferiore e medio si depositano sedimenti calcarei, noti come Formazione dei Calcari Grigi di Noriglio. Proprio la lenta e costante subsidenza dovuta alla dinamica della crosta terrestre e al carico sedimentario, ha mantenuto l'area sempre a pelo d'acqua per 40 milioni di anni, consentendo l'accumulo di questa formazione. Gli strati di questa zona evidenziano una successione di cicli di facies sopratidali (terre emerse per la maggior parte del tempo) e interdidali/subtidali (aree tra alta e bassa marea/aree sommerse).
La Piattaforma di Trento in seguito sprofondò progressivamente, diventando una piattaforma sottomarina, profonda un centinaio di metri, dove si depositarono in successione i calcari del Rosso ammonitico, del Biancone (Maiolica) e della Scaglia rossa, in un periodo di 115 milioni di anni.
Dopo milioni di anni i movimenti delle placche tettoniche compattarono i sedimenti dei fondali che divennero i calcari alpini citati sopra e si sollevarono ampie porzioni di crosta terrestre (Orogenesi Alpina). Inizia quindi l'azione erosiva dovuta agli agenti esogeni, accompagnata da franamenti e fasi glaciali e interglaciali, rendendo finalmente visibili le orme impresse nel Giurassico inferiore.Le orme
Sono state individuate oltre un migliaio di orme, corrispondenti a circa 200 individui di diverse specie di Dinosauri.
Le orme, alcune delle quali misurano fino a 40 cm di diametro, si trovano isolate (un centinaio) o in piste (circa 80) fino a 24 impronte, contrassegnate dall'acronimo ROLM (Rovereto, Lavini di Marco), generalmente dirette prevalentemente verso Nord o verso Sud.
Le orme sono impresse su 6 livelli stratigrafici compresi in un pacchetto di strati spesso poco più di cinque metri. I 4 livelli principali sono localizzati su uno spessore di meno di 2 m, quindi a un intervallo di tempo molto ristretto.
- Il “colatoio Chemini” (foto in alto) presenta una trentina di piste e orme isolate di Ornitopodi, Teropodi e forse piccoli Sauropodi.
- Al termine di una piccola strada militare si incontra una parete molto inclinata, la cerniera (linea lungo cui cambia l'inclinazione degli strati) di una piega degli strati rocciosi (foto a destra). Su questa si trovano 2 piste di Sauropodi, una pista di Teropode che attraversa le precedenti e altre piste e orme isolate.
- Nella parte alta della cerniera ci sono numerose piste mal conservate.
- I colatoi inferiori (foto in basso), a valle della strada forestale, sono disposti a Y: “colatoio del Sauropode”, nella gamba inferiore della Y; “colatoio dei Teropodi”, nel braccio settentrionale; “colatoio degli Ornitopodi”, nel braccio meridionale, dove si vede una pista di un piccolo Sauropode, piste di Ornitopodi bipedi di grandi dimensioni e piste e orme isolate di Teropodi.
- Nelle “laste alte” molto inclinate e scivolose si trovano piste molto belle di carnivori ed erbivori bipedi e quadrupedi.
Per quanto riguarda la formazione delle orme, ricordiamo che si tratta sempre di un evento eccezionale. Se fosse un fatto comune, su ogni lastra calcarea troveremmo milioni di impronte sovrapposte, tenendo conto del tempo di vita della piattaforma. Inoltre, non sappiamo quanto tempo sia percorso tra la formazione di un'orma e l'altra, così piste che si incrociano possono essere state prodotte anche a distanza di centinaia di anni.
La Piattaforma di Trento era soggetta a continue oscillazioni del livello marino. Quando era parzialmente emersa per la bassa marea, comparivano cordoni di sabbia che collegavano tra loro gli atolli e aree paludose dove il fango in alcune zone si seccava in superficie, rimanendo molle nella parte sottostante.
Quando un animale passava sulla riva bagnata, lasciava le sue impronte sulla sabbia e sul fango, dove più o meno sprofondava in base alla consistenza del substrato e al peso dell'animale e dove poteva anche scivolare (nella foto, scivolata di tallone nella ROLM 9).
Queste orme ben presto erano destinate a sparire con l'incursione delle onde marine. Il mare, però, porta con sé delle mucillagini - in genere Cianobatteri - che possono depositarsi sull'orma. Ci sono anche alcuni Cianobatteri che si sviluppano direttamente sulla zona fangosa.
Cianobatteri sul fango (Crediti:
Aleksey Nagovitsyn
- CC BY-SA 3.0)
Se il caldo e il vento riuscivano ad asciugarle, formavano una barriera protettiva che ne impediva l'immediata distruzione. Il depositarsi di sedimenti sull'orma e sul terreno circostante riempirà la cavità, creando un calco. L'accumularsi dei sedimenti e l'eventuale sprofondamento dell'area, porterà a una compressione degli strati e alle diverse fasi di litificazione, andando a formare una roccia calcarea (Formazione dei Calcari Grigi di Noriglio). La parte alta del Membro Inferiore dei Calcari Grigi è lo strato dove sono state rinvenute le orme dei Dinosauri.
Quando eventi tettonici solleveranno la regione e inizierà l'azione erosiva, accompagnata da franamento, le orme saranno esposte e quindi visibili.Per evitare che le impronte, con l'azione erosiva degli agenti esogeni - ricordiamo che si tratta di rocce calcaree soggette a carsismo - vadano perdute definitivamente, sono stati creati dei calchi e modelli digitali del terreno a cura del Museo Civico di Rovereto.
Non è stato possibile reperire la fonte originale, presumibilmente il Museo Civico di Rovereto. Il proprietario è pregato di segnalarlo tramite il modulo di contatto per consentirne eventualmente l'uso.
I Dinosauri
Dopo avere esaminato come si formano le orme e la loro distribuzione, vediamo ora quali sono i possibili Dinosauri che le hanno impresse, suddividendoli in base al numero.
Poiché non è stato rinvenuto alcun reperto osseo, dobbiamo rifarci ai Dinosauri viventi nel Lias inferiore trovati in varie parti del mondo, ma soprattutto in Africa.Theropoda
Le impronte più numerose (80%) sono quelle tridattili delle zampe posteriori, con il dito centrale molto lungo sottile e a volte tortuoso, in alcune delle quali si notano gli artigli - indice di animali predatori - e i cuscinetti plantari. Non sono molto profonde perché questi Dinosauri non erano molto pesanti. Nel disegno a fianco ne abbiamo proposta una, tra le tante, lunga una ventina di centimetri e la foto della ROLM 96.
Probabilmente appartengono a bipedi carnivori del sottordine dei Teropodi (Theropoda) - che significa “piede di bestia” -, un clado dell'ordine dei Saurischia (“bacino da lucertola”), infraordine* dei Ceratosauri (Ceratosauria).
* La classificazione varia con i diversi autori e si evolve continuamente con le nuove scoperte.
Le orme più piccole, 12 - 15 cm, appartengono a Dinosauri simili al veloce Syntarsus o al Coelophysis, specie lunghe 2 - 3 m, pesanti 15 - 20 kg. Ce ne sono anche di più piccole, 8 cm, di carnivori che non superavano il metro e mezzo e il peso di 3 - 4 kg.
Contrariamente a come venivano rappresentati in passato, con il busto eretto e una coda usata come terza gamba, si muovevano con il corpo e la coda paralleli al suolo, poggiando solo con le zampe posteriori molto lunghe. Queste forme, ancora primitive, avevano arti anteriori corti e specializzati per varie funzioni, in particolare la predazione, visti gli artigli ben sviluppati. Essi, infatti, si nutrivano di piccoli Vertebrati o di altri Dinosauri di dimensioni minori.
Si ritiene che alcune specie possedessero del piumaggio.Megapnosaurus
(
Syntarsus
). (Crediti:
Dmitry Bogdanov
- CC BY-SA 3.0)
Coelophysis
(P.D.)
Le orme di dimensioni maggiori, 20 cm e anche 25 - 35 cm, potrebbero appartenere a Dinosauri più grandi, lunghi 6 - 7 m e pesanti 300 - 500 kg, affini al Dilophosaurus (“lucertola dalle due creste”) o al Sarcosaurus (“lucertola della carne”), predatori in grado di attaccare anche i grossi erbivori che pascolavano nella zona.
C'erano anche delle forme leggermente più piccole (4,5 m), ma anche una specie lunga fino a 8 metri, che ha lasciato orme lunghe 38 cm.Dilophosaurus
(Crediti:
Leandra Walters
- CC BY 2.5)
Clicca sull'immagine per una versione alternativa senza piumaggio. (Crediti:
ArthurWeasley
- CC BY - SA 2.5)
Sarcosaurus
(Crediti:
Саша Багаев
- CC BY-SA 4.0)
Si tratta nel complesso di forme ancora primitive, mentre nel Giurassico medio compariranno i Carnosauria e più tardi, nel Giurassico superiore, il Ceratosaurus.
Non è chiaro perché siano più numerose le tracce di questi carnivori, che probabilmente tallonavano i grandi Dinosauri erbivori per attaccarli qualora si trovassero in difficoltà nel fango.
Sauropoda
Meno numerose, ma decisamente più grandi (fino a 30 - 40 cm di diametro e oltre) sono le orme di forma ovale allungata o piriforme delle zampe posteriori, con il bordo di espulsione rialzato per la pressione del Dinosauro. A volte sono visibili fino a quattro dita corte, appuntite o con lobi tondeggianti (unghioni). Quelle anteriori, invece, sono più piccole a forma di mezzaluna o a ferro di cavallo, che a volte si sovrappongono alle posteriori (e quindi non visibili nei reperti) e sono poste all'esterno, a indicare la loro posizione divaricata.
Queste orme appartengono al sottordine dei Sauropodi (Sauropoda) - “piede di lucertola” -, un clado dell'ordine dei Saurischia, probabilmente della famiglia dei Vulcanodontidi (Vulcanodontidae).
Si tratta di quadrupedi erbivori di dimensioni medio-grandi, lunghi 5 - 6 metri e del peso di 1 - 3 tonnellate, ma ci sono anche orme di un esemplare lungo più di 10 metri, con zampe posteriori larghe 50 cm.
Modello di
Vulcanodon
a Rovereto (TN)
Questi Sauropodi primitivi, vissuti nel Giurassico inferiore, erano brucatori di alberi alti, grazie al collo abbastanza lungo, non però come i loro successori, dal collo e coda molto lunghi, i ben più noti e giganteschi Brontosaurus e Diplodocus.
Piste di Sauropodi ROLM 1 e ROLM 11
Ornitischia
Un terzo gruppo, ancora meno numeroso (5%) è quello di orme posteriori tridattili, forse appartenenti a Dinosauri dell'ordine degli Ornitischi (Ornithischia), “ bacino da uccello” (nella foto ROLM 9).
Le orme più piccole, lunghe 10 - 15 cm, tridattili e artigliate, potrebbero appartenere a forme primitive di bipedi o semibipedi erbivori molto piccoli, lunghi 1 o 2 m, del peso di 10 - 15 kg, della famiglia dei Fabrosauridae.
Agilisaurus
, un
Fabrosauridae
(Crediti:
ArthurWeasley
- CC BY 2.5)
Erano Dinosauri corridori molto veloci, con zampe posteriori estremamente allungate e una coda rigida e lunga, discendenti da animali simili al Lesothosaurus, Dinosauro poco più grande di un cane, precursore dei successivi Ornitopodi. Possedeva una specie di becco con cui spezzava rametti e steli duri. Gli arti anteriori erano corti, con 5 dita che gli consentivano di strappare i rami bassi degli alberi e portarli alla bocca e anche di appoggiarsi a terra quando doveva mangiare.
Lesothosaurus
(Crediti:
Conty
- CC BY-SA 3.0)
Queste piccole orme potrebbero appartenere anche ad antenati bipedi dei Thyreophora, Dinosauri Ornitischi corazzati (Stegosauri, Ankylosauri, Triceratopi), simili allo Scutellosaurus, una forma intermedia tra il Lesothosaurus e lo Stegosaurus.
Questo animale, non più lungo di 1,2 metri, con zampe posteriori snelle ma robuste, e arti anteriori più corti, che però potevano permettere una locomozione quadrupede, possedeva tubercoli ossei (una primitiva corazza), che lo difendeva dai Teropodi.Scutellosaurus
(Crediti:
Pavel.Riha.CB
- CC BY-SA 3.0)
Ci sono anche orme un po' più lunghe (fino a 20 cm) che potrebbero appartenere ad antenati del genere Hypsilophodon, Dinosauri lunghi meno di due metri, bipedi, adattati alla corsa.
Hypsilophodon
(Crediti:
ArthurWeasley
- CC BY 2.5)
C'è un terzo gruppo di orme di Ornitischi, quelle grandi 20 - 47 cm, più larghe che lunghe, con 3 dita dell'arto posteriore corte e ravvicinate a forma di zoccolo arrotondato, a volte con la presenza del primo dito in posizione laterale interna ed eventuale bordo di espulsione. Nella foto parte della pista ROLM 9.
Probabilmente si tratta di Ornitischi appartenenti al sottordine Ornitopodi (Ornithopoda), “piede da uccello”, comparsi nel Giurassico inferiore.
Erano Dinosauri quadrupedi erbivori, antichi ma più avanzati rispetto a quelli presentati sopra, lunghi fino a 7 m, ma anche più grandi, con un peso fino a 500 kg e zampe graviportali. Erano brucatori di cespugli e alberelli bassi, grazie al largo becco e all'efficace masticazione.
Potrebbero assomigliare al Camptosaurus del Giurassico superiore, un erbivoro semibipede, collegato evolutivamente agli Iguanodontidi (Iguanodontidae), Dinosauri in competizione con i Sauropodi (decretandone forse il declino) che saranno sostituiti dagli Adrosauridi (Hadrosauridae).Camptosaurus
(Crediti:
FunkMonk
(Michael B. H.) - CC BY-SA 3.0)
Iguanodon
del Cretaceo inferiore (Crediti:
Nobu Tamura
-
http://spinops.blogspot.com/2013/01/iguanodon-bernissartensis.html
- CC BY-SA 4.0)
Clicca sull'immagine per un'altra versione (Crediti:
Nobu Tamura
http://spinops.blogspot.com/
- CC BY-SA 3.0)
Altre orme
Avevamo detto all'inizio che le orme scoperte sono almeno un migliaio. Purtroppo gran parte di queste non è attribuibile a specifici animali. Certo è che non dovevano esservi solo Dinosauri, ma anche altre categorie di animali, come Anfibi, Tartarughe, Lucertole e avrebbero potuto esserci anche piccoli Mammiferi primitivi, ma nessuno di questi ha lasciato tracce identificabili, anche perché stiamo parlando di animali piccoli e leggeri. Nulla a che vedere con i ben più pesanti Dinosauri.
Sono presenti, invece, animali con il rivestimento calcareo, come Coralli, Bivalvi, Brachiopodi, Gasteropodi.Il paleoambiente
Nel Giurassico inferiore (Lias inferiore), circa 200 milioni di anni fa, l'area trentina era un'appendice del mare della Tetide che si insinuava nel supercontinente Pangea (Clicca qui - Crediti: Kieff - CC BY-SA 3.0) e la Piattaforma di Trento era posta tra il Bacino Lombardo e quello Bellunese.
Questa piattaforma carbonatica era una piana tidale, cioè un'ampia area pianeggiante, coperta da sabbie e fanghi calcarei, circondata da fondali bassi e isole e lidi sabbiosi che proteggevano dalle grandi onde dell'oceano aperto, alternata a condizioni intertidali e subtidali, di fondali poco profondi (massimo 10 - 15 m).
L'aspetto era simile a quello delle coste del Golfo Persico, delle isole Bahamas (viste da satellite nella foto in fondo), dell'Australia occidentale o, più vicino a noi, alla laguna veneta, dove però i sedimenti sono di natura diversa (e anche le temperature). Un ambiente, quindi, simile agli attuali mari tropicali, con acque basse e calde.
Nei periodi di acqua alta, vasti territori venivano sommersi sotto qualche metro d'acqua, dove prosperavano grandi Molluschi bivalvi (Megalodonti), Gasteropodi, Brachiopodi, Coralli e altri animali marini, tenendo anche conto che l'area era soggetta a una lenta subsidenza dovuta al carico di sedimenti e ne consentiva un ulteriore accumulo.
Quando la marea era bassa (o il livello era basso per oscillazioni dovute ad altre cause), emergevano corridoi sabbiosi e rimanevano scoperte paludi separate da lingue di terra emerse o semiemerse, occupate da vegetazione continentale. Le zone costiere erano semiaride in alcuni punti, così come diverse aree interne e abbastanza umide in altre e nelle isole, dato che il clima aveva una temperatura costante di circa 25 - 27 °C, perciò si sviluppava una florida vegetazione di Felci arboree, Benettitali, Cicadee, Araucarie, ecc.
Lungo questi cordoni e piane emerse si spostavano i Dinosauri e gli altri animali, secondo una possibile direzione privilegiata di migrazione, alla ricerca di cibo o per raggiungere le aree di riproduzione, soprattutto quando il clima diventava più umido.
Il problema è che, visto l'alto numero di animali erbivori di grandi dimensioni, non si spiega come la vegetazione delle piane tidali e delle isole fosse sufficiente a nutrirli. Per questo si è postulata la presenza di una massa continentale di cui la Piattaforma di Trento era una frangia marginale.- La Foresta Fossile di Dunarobba
Questo approfondimento riprende e aggiorna due articoli apparsi nel nostro Notiziario sulla Foresta fossile di Dunarobba a cura del Gruppo Umbro Mineralogico Paleontologico (1988-2) e di Giordano Balia e della compianta Maria Concetta D'Agnone (1988-3).
La Foresta fossile si trova a Dunarobba, una frazione del comune di Avigliano Umbro, in provincia di Terni.
È stata scoperta con lavori di sbancamento di una cava di argilla da parte della vicina fabbrica di laterizi, alla fine degli anni '70 del secolo scorso.
Con gli scavi sono stati rinvenuti tronchi di alberi fossili ancora in posizione di vita. Nel 1983 erano 18, poi ridotti di numero, ma oggi, dopo gli ultimi scavi, abbiamo circa 50 esemplari e ne sono stati individuati altri 21.Arrivai sul sito nel 1988, con Maria Concetta e altri due amici, posto non facile da raggiungere perché all’epoca non c’erano indicazioni, né il luogo era noto al grande pubblico. Oggi le cose sono cambiate perché la località è ben gestita ed è possibile prenotare le visite attraverso il sito https://www.forestafossile.it/. Non è possibile, infatti, visitare direttamente il sito, ma occorre essere accompagnati in orari stabiliti, previo pagamento di un biglietto. Ricordiamo che il sito non è proprietà statale, ma è comunque un’area vincolata dalla Regione Umbria e dal Ministero dei Beni Culturali.
Subito ci colpì questa distesa arida e desolata, dalla quale emergevano tronchi di alberi di notevoli dimensioni, il cui modo di conservazione e la particolare posizione non dimostrano la loro reale età. Al mondo esistono 4 siti con queste caratteristiche, ma solo questo è visitabile.
È incredibile pensare che un luogo tanto arido e assolato potesse essere stato una zona paludosa ricca di vegetazione dove potevano crescere questi maestosi alberi.
Ora, secchi tronchi rimangono a testimoniare un passato rigoglioso.
In quel periodo non era presente alcuna barriera per impedire l'ingresso indiscriminato alla foresta. I tronchi non avevano alcuna protezione contro gli effetti degli agenti atmosferici che lentamente ma inesorabilmente disgregano e asportano pezzi. Alcuni tronchi fossili che furono rinvenuti per primi erano già stati in parte o completamente rovinati dagli agenti esogeni. Inoltre, nessuno resisteva alla tentazione di portare a casa qualche pezzo più o meno grande come souvenir. Qualcuno, non limitandosi a raccogliere frammenti sparsi sul terreno, con vero e proprio atto vandalico, aveva staccato pezzi direttamente dal tronco e qualcun altro vi aveva addirittura appiccato il fuoco provocando gravi danni.
Attualmente, invece, alcuni tronchi sono protetti da impalcature e opportunamente puntellati.La cava
I terreni su cui si apre la cava sono caratterizzati in prevalenza da argille grigie sottilmente stratificate, con livelli ricchi di resti vegetali, appartenenti al "complesso argilloso-sabbioso" della serie di sedimenti continentali del Villafranchiano superiore (Pleistocene inferiore 1,8 - 0,78 m.a.). Si tratta di una serie di sabbie argillose alternate e argille sabbiose, con episodi conglomeratici.
Durante la fase di deposizione di questi strati si è rilevata la presenza di una connessione tra il bacino tiberino e le acque marine.
Pur essendo estremamente abbondante la componente argillosa, da ciò l'utilità di sfruttare l'affioramento a scopo estrattivo, non mancano intercalazioni sabbiose di forma lenticolare. Sono presenti anche tasche con ciottoli arrotondati o appiattiti, talora arrossati.Il Lago Tiberino
Nell’area di interesse, alla fine del Pliocene, circa 2,5 milioni di anni fa, era già emersa la dorsale appenninica, circondata dal mare che alternativamente invadeva l’area della nascente Umbria.
Quando due milioni di anni fa il mare si ritirò definitivamente, nella zona rimasero bacini lacustri di acqua salata o salmastra.
La zona dove è situata la cava fa parte dell'antico "Lago Tiberino", un lago di acqua salata di origine tettonica, profondo fino a 1000 m, che nel Plio-Pleistocene occupava una vasta porzione dell'Italia centrale. Il lago doveva misurare circa 120 km da Nord a Sud e cioè da Sansepolcro (Ar) a Terni, con una larghezza variabile (max 30 Km) e la sua massima estensione e profondità fu raggiunta circa 1,5 milioni di anni fa.
Il lago aveva una forma a Y capovolta ed era estremamente frastagliato e irregolare. Seguiva il corso dell'attuale Tevere da Sansepolcro a Todi, in un’ampia valle lunga e stretta. Il Tevere, in quell’epoca, sfociava sul Tirreno nei pressi di Perugia.
Il lago iniziava nei pressi di Sansepolcro e scendeva, passando da Città di Castello, verso Perugia. Qui si divideva in due bracci. Uno si dirigeva a est verso Assisi, Foligno e Spoleto. L’altro, invece, scendeva verso Todi e Terni.
La presenza di acqua salata dipendeva dal fatto che era parte del Mar Tirreno e si è separato da questo per l’innalzamento di piccoli rilievi montuosi, costringendo il mare a ritirarsi dalla regione. In seguito venne alimentato dai torrenti che scendevano dai rilievi circostanti.
Dal Pliocene si depositò un’imponente coltre di sedimenti fluvio-lacustri e/o palustri che progressivamente lo portò al colmamento. Inoltre, lo sfondamento del Tevere presso Todi, circa 400.000 anni fa, ne decretò la fine e l’area si trasformò in una vasta pianura su cui ben presto s'impostò una rete idrografica.
La forma del lago è ancora ben riconoscibile nell’immagine da satellite come zona depressa più chiara.La Foresta
La foresta ha un’età di compresa tra 3 e 2 milioni di anni (Pliocene).
I 50 tronchi fossili, del diametro che varia da 1,5 a 3 m, si possono considerare ancora in posizione di vita, e appaiono tutti leggermente inclinati e spezzati a un’altezza compresa tra 5 e 8 metri, ma gli alberi potevano raggiungere i 35 m, con una vita fino a 3000 anni.Questa non è una foresta pietrificata, cioè mineralizzata, come si potrebbe pensare, ma una particolare forma di conservazione (non una fossilizzazione) dovuta alle caratteristiche di impermeabilità delle argille inglobanti che hanno conservato la struttura legnosa originaria. La percentuale di lignina è analoga a quella di una pianta vivente e la cellulosa si è conservata fino al 90%, ma si è persa l’umidità.
Il lento e continuo seppellimento all’interno di questa zona paludosa, posta ai margini del Lago Tiberino, soggetta a progressiva subsidenza, ha consentito il mantenimento della posizione di vita.
Il sito rappresenta quindi la memoria di un bosco di gigantesche Conifere della famiglia delle Cupressaceae, il Glyptostrobus europaeus,* una specie estinta il cui rappresentante attuale è il Cipresso delle paludi cinesi (Glyptostrobus pensilis) della foto sotto. È correlato con il genere Taxodion, simile all'attuale Sequoia sempervirens o al Taxodium distichum (cipresso della Virginia) che vive nelle paludi acquitrinose della Florida.
Le radici erano perennemente immerse nell’acqua e man mano che crescevano, perdevano la loro stabilità. Per questo i rami più bassi si flettono verso il basso per puntellare la pianta in modo che non si pieghi o sprofondi sul terreno molle e fangoso.
Possedeva anche radici pneumatofore che emergevano verticalmente dall’acqua per prelevare ossigeno dall’atmosfera, scarsamente presente nel terreno melmoso.
Era una pianta decidua (diversamente dalla Sequoia), che durante l’inverno perdeva le foglie squamose e aghiformi.* E. Bionidi, E. Brugiapaglia (
Flora mediterranea
1 1991) avevano classificato le conifere come
Taxodioxylon gypsaceum
, una specie estinta con portamento piramidale e tronco colonnare.
Il paleoambiente
Dall'insieme delle caratteristiche litologiche, sedimentologiche e paleontologiche è possibile trarre delle considerazioni sul paleoambiente che caratterizzava l'area di Dunarobba.
Un clima caldo umido favoriva lo sviluppo di una rigogliosa vegetazione. Sono stati trovati pollini di Sequoia, Taxodium, Pinus, Alnus, Larix, Abies, Picea, Betula, Salix, Quercus, Castanea e molte altre.
Il paesaggio era caratterizzato da un bacino lacustre con acque basse, alimentato da apporti discontinui talora grossolani.
In ogni caso dovevano esservi condizioni di bassa energia tali da permettere il deposito di elementi molto fini.
Le acque molto tranquille, quasi stagnanti in alcuni punti, impedivano inoltre il ricambio di ossigeno sul fondo e si determinavano così condizioni anaerobiche.
In definitiva, doveva trattarsi di un ambiente paludoso, e le terre emerse, con la loro vegetazione, dovevano essere ancora prossime, ma grandi alberi si ergevano nella stessa palude, che ospitava una discreta vita acquatica.
La fauna era molto diversa dall’attuale, con animali di clima caldo come Ippopotami, Elefanti, Rinoceronti, Gazzelle e Iene. Nei periodi più freddi pascolavano Bovini, Cervi, Cavalli, ecc.G. Balia