Secondo principio della termodinamica
Il primo principio della termodinamica non è altro che una specificazione del principio della conservazione dell'energia, considerando il calore come una grandezza omogenea con il lavoro. L'energia può essere scambiata con l'ambiente, ma non può essere distrutta.
Dal punto di vista teorico, il primo principio ammette la possibilità di trasformare il calore in lavoro e viceversa, senza limitazioni. Nella realtà, mentre è possibile convertire anche totalmente il lavoro in calore, nel processo inverso non è possibile trasformare completamente il calore in lavoro.
Il 1° principio, quindi, non ci dice nulla sull'esistenza di una possibile direzione privilegiata sugli scambi di calore e lavoro tra sistema e ambiente, né sulle condizioni in cui l'energia interna del sistema può aumentare o diminuire.
Il secondo principio della termodinamica (→), che può essere espresso con diverse formulazioni equivalenti, afferma che non si può trasformare tutta l'energia termica in lavoro, perché il calore a bassa temperatura è degradato, cioè non è più utilizzabile per compiere lavoro e viene restituito all'ambiente.
Questo principio non contraddice il precedente principio, ma mette in evidenza i limiti nella trasformazione dell'energia termica in energia meccanica.
Non tutte le trasformazioni, quindi, che soddisfano il primo principio della termodinamica possono effettivamente avvenire naturalmente.
Nella formulazione di Kelvin-Plank il 2° principio dice che: è impossibile convertire calore in lavoro meccanico estraendolo da una sorgente avente la stessa temperatura di quella dell'ambiente circostante, cioè senza disporre di un'altra sorgente a temperatura più bassa.
Non si può perciò realizzare una trasformazione il cui unico* risultato sia la produzione di lavoro a spese del calore prelevato da un'unica sorgente a temperatura uniforme (L = Q).
* In una trasformazione isoterma, con un contenitore che scambia energia termica con una sola sergente (ambiente) per esempio, è possibile convertire tutto il calore in lavoro, ma lo stato finale è diverso da quello iniziale, poiché se è aumentato il volume è diminuita la pressione e viceversa. Non c'è stata quindi
solo
la conversione del calore in lavoro.
Un'altra formulazione del 2° principio è data da Clausius (Rudolf Julius Emanuel Clausius 1822 - 1888): è impossibile che una macchina possa far passare spontaneamente (cioè senza ricevere energia o lavoro dall'ambiente esterno), in modo continuo, il calore da un corpo più freddo a uno più caldo. È impossibile, cioè, realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia il trasferimento di calore da una sorgente a un'altra avente temperatura più elevata.
In realtà esiste un dispositivo che funziona in modo inverso: la macchina frigorifera, che però lavora in modo non separato dall'ambiente esterno, dal quale riceve lavoro per forzare il calore a passare da un corpo a un altro a temperatura più alta, cioè l'ambiente esterno.
Motore termico
Una macchina termica (o motore) è un qualsiasi tipo di dispositivo in grado di trasformare in modo continuo il calore in lavoro meccanico.
Per funzionare, un motore termico deve operare in modo ciclico e deve avere:
- Una sorgente termica (o termostato, un corpo che può cedere o assorbile calore senza che la temperatura vari) a temperatura T1 da cui ricava una quantità di calore Q1.
- Una parte del calore è convertita in lavoro L = (Q1 - Q2).
- Un'altra parte del calore Q2 è ceduta a una sorgente a temperatura più bassa T2 (ambiente), cioè al secondo termostato.
Il motore termico, quindi, svolge il suo ciclo in 3 fasi.
La descrizione del motore termico fatta qui sopra deriva dall'enunciato di Carnot (Nicolas Léonard Sadi Carnot 1796 - 1832), che è un'altra formulazione del secondo principio della termodinamica.
Il principio di Carnot afferma che nella conversione del calore in lavoro, realizzata attraverso un sistema che riceve calore dall'esterno, solo una parte del calore ricevuto si trasforma in lavoro, mentre la parte rimanente rimane sotto forma di calore, che è ceduto a una sorgente più fredda.
Le diverse formulazioni del 2° principio, tra loro equivalenti, non ci danno relazioni quantitative tra le grandezze termodinamiche, come fa invece il 1° principio.
Il rendimento ρ (→) di una macchina reale, cioè il rapporto tra il lavoro meccanico prodotto e l'energia assorbita sotto forma di calore, è sempre inferiore a 1:
* Il rendimento è un numero privo di dimensioni, poiché il lavoro e il calore sono entrambi misurati in joule.
Ciclo di Carnot
Per comprendere meglio il funzionamento di un motore termico reale è utile lo studio del ciclo di Carnot nel motore termico ideale.
Il ciclo di Carnot è un ciclo reversibile, compreso tra due isoterme e due adiabatiche alternate tra loro. Lo scambio di calore avviene tra il gas e due sorgenti termiche a diversa temperatura. Essendo un ciclo, lo stato finale coincide con quello iniziale.
Per prima cosa fissiamo nel diagramma di Clapeyron i valori in temperatura assoluta T1 e T2 delle due isoterme e gli estremi delle quattro trasformazioni consecutive del gas perfetto ABCD.
Esaminiamo separatamente le 4 trasformazioni.
AB compressione adiabatica. Comprimiamo adiabaticamente il gas: con il lavoro è compiuto sul gas (negativo) la pressione aumenta da pA a pB, il volume si riduce da VA a VB e la temperatura aumenta da T1 a T2 per l'aumento dell'energia interna, equivalente al lavoro di compressione (fig. 1). In valore assoluto:
LAB = ΔU
BC espansione isotermica. Il gas assorbe una quantità di calore Q1 dalla sorgente più calda T2 per conservare la temperatura costante, perciò si espande, aumentando il volume da VB a VC e producendo lavoro (positivo) espandendosi. Contemporaneamente la pressione scende da pB a pC (fig. 2).
LBC = Q1
CD espansione adiabatica. Il gas continua a espandersi, ma adiabaticamente, aumentando il volume da VC a VD, compiendo lavoro di espansione (positivo) a spese della propria energia interna e di conseguenza si raffredda, passando dalla temperatura T2 a quella inferiore T1, mentre la pressione scende da pC a pD (fig. 3).
LCD = ΔU
DA compressione isotermica. Infine, il ciclo si chiude tornando alla condizione iniziale con una compressione isotermica prodotta da lavoro esterno (negativo), cedendo calore Q2 all'ambiente per mantenere costante la temperatura T1. Il volume si riduce da VD a VA e la pressione aumenta da pD a pA (fig. 4).
LDA = Q2
Vediamo graficamente il lavoro totale positivo compiuto dal gas nelle trasformazioni BC-CD (fig. 1), quello negativo compiuto sul gas in DA-AB (fig. 2) e il lavoro netto prodotto in un ciclo ABCD (fig. 3), dato dalla differenza dei primi due.
Applicando il primo principio della termodinamica, poiché in un ciclo completo il gas ritorna alle identiche condizioni iniziali, la variazione di energia interna è nulla (ΔU = 0) perciò:
ΔU = 0 → Q - L = 0
L = Q1 - Q2
Il lavoro netto complessivo in un ciclo completo è pari al calore netto scambiato, cioè pari alla differenza tra il calore assorbito e quello ceduto.
Come abbiamo visto sopra, in un motore termico reale solo una parte del calore si trasforma in lavoro meccanico (rendimento), mentre la restante parte rimane calore.
In conclusione, l'energia si conserva ma si degrada in una forma, il calore, che può limitatamente produrre lavoro.
Entropia
Per il primo principio della termodinamica sono possibili solo le trasformazioni in cui si conserva l'energia totale, ma non ci dice quale, tra le diverse possibilità, effettivamente avvenga e in quale direzione.
Per esempio, un gas può espandersi fino a occupare tutto lo spazio disponibile, ma potrebbe anche comprimersi, concentrandosi in una sola parte dello spazio. Pur essendo le situazioni entrambi possibili, non violando il 1° principio, l'esperienza ci dice che solo il primo caso avviene. Per comprimerlo occorre applicare una forza esterna, cioè compiere un lavoro. Nella figura sottostante il gas, dopo l'apertura della valvola, si sposterà verso lo scomparto vuoto finché le due pressioni non si equilibrano. A livello microscopico si raggiungerà l'equilibrio quando nei due scomparti si avrà circa lo stesso numero di particelle.
Allo stesso modo, il 1° principio non esclude che un corpo a temperatura più bassa ceda calore a uno che si trova a temperatura più alta, ma anche qui sappiamo che ciò non si verifica spontaneamente. Per cedere calore a un corpo più caldo è necessario compiere un lavoro fornito da una fonte energetica.
Perché i processi spontanei hanno una direzione preferenziale?
Il secondo principio ci dice che solo quando il calore passa da un corpo più caldo a uno meno caldo può trasformarsi in lavoro meccanico, ma ciò avviene solo in parte e solo una piccola frazione può subire una trasformazione inversa mentre l'altra si degrada in una forma sempre meno convertibile.
Perché tutto il calore non può trasformarsi in lavoro?
Si constata quindi che esistono delle trasformazioni che sono percorse in una certa direzione e che non sono più ripercorse in direzione inversa, nelle stesse condizioni. È possibile ritornare alle condizioni iniziali, non ripercorrendo lo stesso cammino, ma intervenendo dall'esterno. Tali trasformazioni sono quelle irreversibili.
Dagli esempi fatti sopra, possiamo raggruppare le trasformazioni in due categorie:
- Le trasformazioni che avvengono in sistemi isolati, cioè le trasformazioni spontanee. Queste tendono all'equilibrio e da esso non si allontanano spontaneamente. Sono quindi trasformazioni irreversibili.
- Le trasformazioni che riguardano gli scambi tra calore e lavoro. Mentre è sempre possibile trasformare il lavoro in calore, non è sempre possibile fare l'inverso in una trasformazione ciclica. Anche queste sono trasformazioni irreversibili.
Le due categorie si riflettono nei due enunciati, tra loro equivalenti, del 2° principio:
- Una determinata trasformazione spontanea è irreversibile (enunciato di Clausius).
- La trasformazione di calore in lavoro è irreversibile (enunciato di Kelvin-Planck).
In conclusione, per qualsiasi tipo di fenomeno chimico o fisico spontaneo esiste una direzione privilegiata, quella in cui la parte di calore non trasformabile aumenta nel tempo*, cioè quella che evolve verso il massimo disordine.
* Si passa da una forma di energia ordinata, “nobile”, come quella meccanica a una forma di energia disordinata, “povera”, come il calore. Il passaggio da un corpo caldo a uno più freddo corrisponde a una degradazione dell'energia in quanto, tanto più bassa è la temperatura della sorgente, tanto più è difficile trasformare calore in lavoro.
Per comprendere il concetto di disordine facciamo alcuni esempi.
Un cristallo presenta una struttura altamente ordinata perché le sue particelle sono disposte in modo regolare nel reticolo, mentre la struttura interna di un gas è molto più disordinata perché le particelle si muovono in modo caotico nello spazio a loro disposizione.
Se mettiamo in una scatola alcune monete e la scuotiamo, è improbabile che tutte si rivolgano nello stesso verso (tutte testa o tutte croce) mentre è più facile che alcune siano testa e altre croce. Oppure, è altamente improbabile che tutte le teste si dispongano su un angolo della scatola e quelle croce nell'altro angolo.
Nel caso del gas fatto sopra, considerando una singola particella, sottoposta a un moto casuale e disordinato, non c'è alcun motivo perché si sposti dal secondo al primo recipiente. In termini probabilistici, la probabilità che una particella si trovi nel primo o nel secondo scomparto è la stessa. Per questo motivo, dato il numero enorme di particelle, c'è un grado di probabilità elevatissimo che circa la metà delle particelle rimanga nel primo scomparto e l'altra metà passi nel secondo. A livello microscopico si raggiunge un equilibrio statistico: poiché una singola particella può indifferentemente muoversi in una direzione o nell'altra, tante sono le particelle che si spostano dal primo al secondo scomparto e altrettante fanno il cammino inverso. A livello macroscopico la pressione allora risulta uguale nei due scomparti.
Con questa interpretazione probabilistica si spiega il 2° principio. Un sistema fornito di energia meccanica è un sistema ordinato nel quale, per esempio, le particelle si muovono in media in una direzione piuttosto che in altre; se l'energia meccanica si trasforma in calore, il sistema evolve nella direzione di maggior disordine.
Il disordine è più probabile dell'ordine, per questo in una trasformazione spontanea è privilegiata quella che evolve verso un aumento del disordine. Il passaggio spontaneo in senso inverso, cioè dal disordine all'ordine, non è impossibile, ma altamente improbabile, per cui non capiterà praticamente mai di osservarlo.
Queste considerazioni ci portano a ritenere che tutte le forme di energia presenti nell'Universo sono destinate a trasformarsi in calore a bassa temperatura fino a raggiungere un equilibrio termico.
La perdita di capacità di conversione del calore in lavoro, legata all'abbassamento della temperatura, cioè il grado di irreversibilità di una trasformazione, è misurata con la variazione di una nuova grandezza fisica scalare, l'entropia (S), introdotta da Clausius nel 1864.
Si tratta di una funzione di stato perché dipende solo dallo stato iniziale e finale e non dal percorso compiuto e si misura in J/K.
L'entropia è la misura del grado di disordine di un sistema, cioè quanta energia si è liberata nell'ambiente sotto forma di calore e non più utilizzabile, e tiene conto sia della quantità Q di calore scambiato, sia della temperatura assoluta T alla quale avviene lo scambio.
In un sistema chiuso* la variazione di entropia è data dal rapporto tra calore scambiato e la temperatura assoluta alla quale è stato scambiato.
* Precisiamo che vale solo in un sistema chiuso, altrimenti non sarebbe possibile il calcolo.
Per un sistema che compie una trasformazione reversibile, se il calore Q > 0, cioè è stato assorbito dal sistema, allora ΔS > 0, ossia si un aumento dell'entropia. Viceversa, se Q < 0 allora ΔS < 0.
In una trasformazione reversibile è quindi ammessa una diminuzione dell'entropia.
Per una trasformazione irreversibile compiuta in un sistema isolato è sempre ΔS > 0.
La risposta alle domande poste in precedenza si ottiene allora dalla misura della variazione dell'entropia: per comprendere quale trasformazione si realizza tra quelle possibili, occorre considerare la variazione di entropia tra lo stato iniziale e quello finale.
Un sistema termodinamico con bassa entropia, e quindi massima energia, ha un'elevata capacità di compiere lavoro.
Un sistema termodinamico con alta entropia, e quindi minima energia disponibile ha una bassa capacità di compiere lavoro.
Possiamo allora formulare il secondo principio in riferimento all'entropia: durante una qualsiasi trasformazione spontanea (cioè senza lavoro esterno) di qualunque sistema termodinamico l'entropia non può diminuire.
Questo vale per tutti i processi naturali irreversibili in un sistema isolato, i quali avvengono sempre nella direzione che porta a un aumento totale dell'entropia, cioè del grado di dispersione dell'energia nell'Universo, mentre la trasformazione inversa richiede che il sistema sia aperto agli scampi energetici. Se la trasformazione avviene in un sistema non isolato la variazione di entropia può essere qualunque.
Più in generale, se consideriamo l'Universo come un sistema isolato (Universo termodinamico):
- per il 1° principio della termodinamica l'energia totale dell'Universo è costante;
- per il 2° principio l'entropia totale dell'Universo è in continuo aumento.
Ogni sistema isolato, quindi, tende spontaneamente ad aumentare il suo grado di disordine per raggiungere lo stato più probabile, e quindi la somma dell'entropia del sistema e quella dell'ambiente aumenta sempre.
Come detto all'inizio, la parte non trasformabile aumenta nel tempo per qualsiasi tipo di fenomeno chimico o fisico e, quando tutti i corpi dell'Universo avranno raggiunto la medesima temperatura, cioè uno stato di equilibrio permanente, non sarà più possibile alcuno scambio di calore e l'entropia avrà raggiunto il suo massimo valore. A questo punto non si manifesterà più alcun fenomeno.