Il modello di Bohr funzionava bene sull'atomo di idrogeno, ma era difficilmente utilizzabile in atomi complessi e questo perché erano state applicate all'elettrone le stesse leggi fisiche dei corpi macroscopici. Inoltre, la messa in discussione di alcuni concetti fondamentali, fra cui la natura dell'elettrone, la precisione nelle misurazioni e il concetto di orbita, richiedevano la messa a punto di una nuova visione dell'atomo.
La doppia natura della luce
La fisica classica, fino alla fine dell'Ottocento, considerava la luce come onda, caratterizzata da una lunghezza d'onda λ (distanza tra due creste) e da una frequenza ν (numero di cicli d'onda nell'unità di tempo), che si propaga nel vuoto con velocità costante.
Fenomeni come la rifrazione, la diffusione, l'interferenza, erano alla base di questa concezione.
La luce bianca, se fatta passare attraverso un prisma, si scompone nello spettro continuo di 7 colori che sfumano gradualmente dal rosso (alta lunghezza d'onda) al violetto (bassa lunghezza d'onda). Lo stesso si ottiene con solidi e liquidi portati all'incandescenza.
Se la luce però attraversa un gas rarefatto si ottiene uno spettro a righe.
Come aveva ipotizzato Dalton per la materia, che non poteva essere scomposta all'infinito, anche l'energia non poteva essere suddivisa all'infinito. Max Planck ipotizzò che l'energia fosse emessa o assorbita non in modo continuo ma in piccole quantità chiamate quanti.
Fu grazie a queste scoperte che Bohr poté formulare il suo modello e stabilire l'esistenza di livelli energetici definiti, da cui dedusse il concetto di orbita.
Alcuni fenomeni, come l'effetto fotoelettrico, non sono spiegabili con la teoria ondulatoria. Come può la luce, se è un'onda, far spostare elettroni da una superficie metallica? Ciò può avvenire solo se l'elettrone è colpito da un'altra particella.
Einstein dimostrò che la luce aveva anche una natura corpuscolare e le particelle, chiamate fotoni, corrispondono ai quanti di Planck.
Il dualismo onda-particella
La teoria di Bohr considera l'elettrone come una particella di materia. Le esperienze fatte sulla luce avevano dimostrato che essa aveva un duplice comportamento, corpuscolare e ondulatorio insieme, cioè in certe situazioni si comportava da particella (fotone) e in altre come onda elettromagnetica. De Broglie nel 1925 affermò che anche l'elettrone doveva avere contemporaneamente una natura corpuscolare e ondulatoria. E ciò fu confermato da successivi esperimenti: un fascio di elettroni poteva dare fenomeni di rifrazione, diffusione, interferenza oltre che comportarsi come particella.
Principio di indeterminazione di Heisenberg
L'elettrone è una particella molto piccola e per poter essere osservata deve essere colpita da una particella di luce (fotone) che ha dimensioni paragonabili a quelle dell'elettrone; come conseguenza quest'ultimo modifica la sua velocità. Per questo motivo Heisenberg nel 1927 ha affermato che non è possibile conoscere contemporaneamente con esattezza la posizione e la velocità dell'elettrone. Questo vale per ogni misurazione, poiché misurare significa perturbare il sistema.
Il concetto di orbitale
Secondo i modelli precedenti l'elettrone si muoveva su orbite (circolari o ellittiche), intese come traiettorie curve, all'interno delle quali era possibile stabilirne esattamente la posizione e la velocità.
Oggi, invece, si parla di orbitale, inteso come quella regione dello spazio all'interno della quale c'è un'alta probabilità di incontrare l'elettrone.